Piazza della Bocca della Verità

piazza della bocca della verità

Piazza della Bocca della Verità sorge sull’area anticamente denominata “Foro Boario” (ossia “mercato di buoi”), sul quale antiche leggende raccontano della presenza di popolazioni greche o asiatiche precedenti alla fondazione storica della città: le scoperte di ceramica geometrica greca dell’VIII secolo a.C. e di frammenti micenei nella zona ci danno la conferma archeologica della tradizione. Un mercato di buoi, quindi, sulle rive dell’antico porto commerciale di Roma, il “portus Tiberinus“, anche se una sistemazione monumentale si ebbe soltanto sotto i re etruschi, in particolare con Servio Tullio: a lui si deve la sistemazione del porto e dei relativi santuari.

bocca della verità
1 Bocca della Verità

Piazza della Bocca della Verità prende il nome da una grossa pietra circolare (circa 1,80 m di diametro) che rappresenta un fauno o una divinità fluviale con la barba e con gli occhi, il naso e la bocca forati: è la famosa “Bocca della Verità” (nella foto 1). I fori avevano uno scopo ben preciso, quello di far defluire le acque di scarico nelle condutture sotterranee: in effetti il grande mascherone in marmo pavonazzetto famoso in tutto il mondo era un chiusino di una cloaca risalente al IV secolo a.C. Durante il Medioevo era consuetudine condurre l’indagato dinanzi al mascherone (allora affisso alle mura esterne della chiesa di S.Maria in Cosmedin) e fargli introdurre la mano nella “bocca della verità”: se innocente, ritirava la mano indenne, ma, se colpevole, il mascherone avrebbe chiuso la bocca, troncando di netto la mano (alcuni maligni insinuavano che i giudici, qualora fossero stati convinti della colpevolezza del malcapitato, aiutassero il mascherone a compiere il suo dovere, ponendovi dietro un carnefice con una spada affilatissima). La tradizione sopravvive ancora ai giorni nostri, dimostrandosi un utile espediente per verificare la fedeltà di sposi e amanti: oggi il chiusino è posizionato sotto il portico della chiesa di S.Maria in Cosmedin. La chiesa deve il suo appellativo al famoso ed antico monastero di Costantinopoli, il “Kosmidìon“, al quale si richiamò la corporazione nazionale greca affidataria della chiesa: anche per questo motivo si chiamò “Schola Graeca” la zona circostante e “Ripa Graeca” questa sponda del Tevere. La chiesa fu eretta sull’antica “Ara Maxima di Ercole“, riconoscibile in quel grande nucleo di tufo dell’Aniene che ancora esiste (in parte) nella metà posteriore della chiesa ed entro il quale è ricavata la cripta. Si trattava di un monumento di grandi dimensioni, come le grandi are greche, al quale apparteneva, probabilmente, la statua di bronzo di Ercole, ora al palazzo dei Conservatori: è lecito pensare che l’ara non fosse altro che un santuario eretto a tutela di un fondaco greco precoloniale, dove mercanti ellenici ed indigeni potevano incontrarsi e trattare liberamente sotto la tutela e la garanzia del dio.

colonne del sacellum a piazza della bocca della verità
2 Colonne del “sacellum”

Adiacente all’ara (tanto che a questa si appoggiava) vi era un’aula porticata (nella foto 2), i cui resti sono inseriti nella chiesa e nella sagrestia: si trattava di un podio rettangolare, disposto nel senso della larghezza, con tre colonne marmoree corinzie sui lati minori e sette sulla facciata, che sostenevano una serie di archetti. È un edificio dell’età Flavia, spesso identificato con gli uffici dell’annona (“Statio Annonae“) ma più verosimilmente un sacello connesso funzionalmente con l’ara: forse il “consaeptum sacellum” in cui erano conservate le reliquie di Ercole, fra le quali il grande bicchiere (“scyphus“) di legno.

santa maria in cosmedin
3 S.Maria in Cosmedin

Le prime notizie relative a S.Maria in Cosmedin (nella foto 3) risalgono al VI secolo quando la chiesa, allora denominata S.Maria in Schola Graeca e con il titolo di diaconia, inglobò una struttura tardoantica. Nel 782 papa Adriano I decise l’ampliamento dell’edificio, decretando in tal modo la demolizione dei resti dell’Ara Maxima. Un primo restauro si ebbe nel IX secolo con papa Niccolò I, probabilmente in conseguenza del terremoto dell’anno 847; un altro restauro fu quello realizzato, dopo i gravissimi danni inferti dall’invasione di Roberto il Guiscardo, dai pontefici Gelasio II e Callisto II nel XII secolo. Artefice di questi lavori fu il camerario Alfano di Salerno, al quale si deve sostanzialmente l’aspetto attuale della chiesa, compresi il portico e l’elegante campanile romanico a sette piani di bifore e trifore, alto metri 34,20 e con una campana del 1289. Francesco Caetani, diacono dal 1295 al 1304, restaurò nuovamente la chiesa, dotandola probabilmente di una nuova facciata. Nel 1718 la chiesa fu soggetta ad un radicale restauro per volere del cardinale Annibale Albani e ad opera dell’architetto Giuseppe Sardi: la facciata fu trasformata ed ornata con stucchi e cornici secondo il gusto barocco dell’epoca. Tra il 1896 ed il 1899 la chiesa fu nuovamente rinnovata per opera di Giovanni Battista Giovenale, il quale, pur di ripristinare l’antica facciata, non esitò a distruggere quella settecentesca, barocca ed assai bella. Gli ultimi restauri risalgono al 1964 e riguardano il portico ed il campanile. L’ingresso principale avviene attraverso un protiro sorretto da quattro colonne antiche con capitelli ionici. Il portico, sovrastato dalla facciata della navata centrale, nella quale si aprono tre finestre, custodisce, oltre alla famosa Bocca della Verità di cui abbiamo già parlato, alcune iscrizioni che ricordano donazioni avvenute a favore di altre chiese romane, due bei pesi antichi in basanite, i resti di un affresco raffigurante l’Annunciazione e la Natività e, sulla destra, il monumento funerario del prelato Alfano.

interno di santa maria in cosmedin
4 Interno di S.Maria in Cosmedin

Un bel portale, firmato da Johannes de Venetia, consente di accedere all’interno della chiesa (nella foto 4), suddivisa in tre navate da 4 pilastri e 18 colonne romane diverse tra loro, probabilmente provenienti da vari edifici antichi. Anche i capitelli sono romani, tranne 5 eseguiti durante il pontificato di Gelasio II. Il pavimento cosmatesco è composto da un motivo centrale con una rota di grandissime dimensioni, affiancata da quattro rotae più piccole e da altri motivi rettangolari. Sulla parte alta della navata centrale e dell’arco trionfale vi sono alcuni frammenti degli antichi affreschi risalenti all’VIII ed al IX secolo raffiguranti “Cristo e Santi”. La navata centrale conserva la schola cantorum, realizzata sotto Callisto II, circondata da plutei e colonnine con rivestimenti di marmi preziosi, mentre il cero pasquale, poggiante su un piccolo leone marmoreo, è firmato da Pasquale, un frate domenicano della fine del XIII secolo.

ciborio di santa maria in cosmedin
5 Ciborio

Degno di menzione è sicuramente il ciborio (nella foto 5) in stile gotico-fiorentino, opera di Deodato (1294), terzo figlio di Cosma il Giovane, che ricopre l’altare maggiore ricavato da un blocco di granito rosso, qui voluto da papa Celestino II, e contenente le reliquie dei Ss.Cirilla, Ilario e Coronato, forse del tempo di Adriano I. Nell’abside è collocata, su tre gradini, la cattedra episcopale che fu del prelato Alfano, come recita l’iscrizione dedicatoria (Alfanus fieri tibi fecit Virgo Maria), con i braccioli a figura leonina ed un disco di porfido rosso sullo schienale. L’abside della navata destra è decorata da affreschi moderni, in stile antico, con scene della “Vita di S.Giovanni Battista”., mentre l’abside della navata sinistra è ornata da scene della “Vita di Maria” e dall’immagine della “Madonna con il Bambino”. Dalla navata destra, tramite una porta, si può accedere alla sagrestia dove è conservato un frammento di un mosaico risalente all’VIII secolo e raffigurante l’Epifania, un tempo appartenuto alla basilica di S.Pietro e qui trasferito nel 1639. Accanto è situata la Cappella del Coro Invernale dove è conservata l’immagine della Madonna Theotokos del XIII secolo, che, prima dei restauri del Giovenale, era situata nell’abside maggiore. Sulla navata sinistra si aprono invece la Cappella del Crocifisso, disegnata dal Giovenale ed il cui tabernacolo fu donato nel 1727 dal cardinale Albani, la Cappella dedicata a S.Giovanni Battista De Rossi, progettata dal Carimini nel 1860, nella quale possiamo ammirare l’immagine del Santo sull’altare ed una balaustra bronzea del XVIII secolo, ed infine il Battistero, voluto dal cardinale Albani, con il fonte battesimale ricavato in un frammento architettonico romano, dono di papa Benedetto XIII.

cripta di santa maria in cosmedin
6 Cripta

Dalle due navate è possibile raggiungere, mediante una scala, la cripta (nella foto 6) che Papa Adriano I fece ricavare entro il basamento dell’Ara Maxima di Ercole, della quale si possono ancora ammirare alcuni filari di blocchi di tufo rinvenuti durante i restauri di fine Ottocento. La cripta, come la chiesa superiore, è suddivisa in tre navate, separate da 6 colonne con cappelle laterali, e risale al III secolo, al tempo delle persecuzioni di Diocleziano, quando i primi cristiani decisero di sfruttare le fondamenta dell’antico tempio per erigervi una chiesetta segreta. L’altare della cripta, montato su colonnine, è sormontato da un mosaico dell’VIII secolo.

ex pastificio pantanella
7 Palazzo dell’ex Pastificio Pantanella

Su Piazza della Bocca della Verità, accanto al fianco destro della chiesa, è situato un grande ed imponente edificio (nella foto 7), costruito tra il 1878 ed il 1881 come sede della “Società dei Molini e Pastificio Pantanella”. Quando il Pastificio si trasferì nel 1929 nel grande complesso situato all’inizio della via Casilina, presso Porta Maggiore, il palazzo venne ristrutturato dall’ing. Scarselli per adattarlo a sede del Museo di Roma ed inaugurato il 21 aprile 1930. Il direttore delle Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma di quei tempi, Antonio Muñoz, fece confluire nel nuovo Museo quei materiali che illustravano luoghi, culture e mestieri scomparsi, dagli acquerelli dei E.Roesler Franz alle incisioni della Roma rinascimentale; negli anni successivi il Museo si arricchì di ulteriori opere di qualità, come i dipinti della collezione Rospigliosi ed una serie di busti-ritratto seicenteschi. In un’epoca in cui gli interventi urbanistici per l’attuazione dei piani regolatori del 1873 e del 1883 e quelli di “modernizzazione” degli anni Venti stavano modificando rapidamente la realtà cittadina, si fecero allestire, per rappresentare nella maniera più coinvolgente e realistica la vita popolare romana, tre scenografie rappresentanti le “Scene Romane” più antiche, ovvero “l’Osteria”, il “Saltarello” e lo “Scrivano pubblico”, con personaggi a grandezza naturale. Nel 1939, dopo neanche un decennio di vita, a causa degli eventi bellici, il Museo venne chiuso e nel dopoguerra, più esattamente nel 1952, trasferito nella nuova sede di palazzo Braschi. Da allora l’edificio principale (nella foto 7) ospita Uffici Comunali, mentre i grandi magazzini situati alle spalle, in posizione prospiciente il Circo Massimo, ospitano (già dagli anni Trenta del Novecento) la Fondazione del Teatro dell’Opera di Roma, dove si creano e si riproducono le scenografie degli allestimenti e si conservano oltre 60.000 costumi indossati dai più grandi artisti della lirica e del balletto: qui si trovano gli abiti della Callas in “Norma”, della Tebaldi in “Tosca”, della Scotto in “Madama Butterfly”, di Schipa in “Traviata”, di Del Monaco in “Otello”, e soprattutto quello indossato, il 14 gennaio 1900, dalla prima “Tosca” della storia, Hariclea Darclée. Forse il ciclo di vita dell’edificio quale Museo romano non è ancora terminato perché alcuni mesi fa, per l’esattezza a gennaio 2010, è stato approvato in Campidoglio il progetto per ricondurre nell’ex pastificio Pantanella la nuova sede del “Museo della Città di Roma”, con tempi di realizzazione di circa 6 anni.

mitreo a piazza della bocca della verità
8 Ambienti del Mitreo

Non possiamo non rammentare infine che nel 1931, durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, si rinvenne, ad una profondità di 14 metri, un imponente edificio pubblico del II secolo d.C. costruito in opera laterizia, allineato all’antica “Via ad duodecim Portas” (l’odierna via dell’Ara Massima di Ercole) che lo separava dai “carceres” del Circo Massimo. Durante il III secolo in questi ambienti, al pianterreno, fu realizzato un mitreo, costituito da quattro ambienti: nelle pareti e nelle testate dei muri divisori si trovano diverse nicchie, alcune delle quali ornate da edicole, che dovevano accogliere immagini di divinità. Il primo ambiente in cui si entra è un vestibolo, alla cui destra si apre una stanza di servizio; si passa successivamente ad una coppia di ambienti divisi da un grande arco in laterizio, sotto il quale è situata una grossa anfora interrata. Questi ambienti hanno dei podi laterali, dove prendevano posto gli iniziati.

mitra che uccide il toro
9 Rilievo di Mitra che uccide il toro

Successivamente si arriva al santuario vero e proprio (nella foto 8), sul pavimento del quale è posto un grande cerchio in alabastro incastonato all’interno di un quadrato in marmo cipollino: il lato destro è occupato dal bancone in muratura per il banchetto dei fedeli. In questo ambiente troviamo due rilievi, entrambi non collocati nella posizione originale. Il primo (nella foto 9), di pregevole fattura e lavorato a scalpello e trapano, è posto sul podio di sinistra e reca l’iscrizione votiva di “Tiberius Claudius Hermes“, colui che commissionò l’opera: rappresenta “Mitra che uccide il toro“, attorniato dai due “dadofori” (cioè portatori di fiaccole) Cautes e Cautopates, dal Sole, dalla Luna e dal corvo. In basso a sinistra è raffigurato lo stesso Mitra che trasporta il corpo del toro ucciso sulle spalle. L’altro rilievo, più piccolo, è sulla destra della parete di fondo e ripete l’iconografia del sacrificio del toro. Di fronte alla chiesa sorgono i cosiddetti “Templi del Foro Boario”, ovvero il “Tempio di Portunus” e quello “di Ercole“.

tempio di portunus
10 Tempio di Portunus

Strettamente collegato con il vicino “portus Tiberinus” è l’edificio rettangolare noto come il “Tempio della Fortuna Virile“, ma nel quale si può identificare con certezza il Tempio di Portunus (nella foto 10), protettore dei fiumi e dei porti. Scavi recenti (1947) hanno rivelato la fase più antica del tempio, risalente al IV o III secolo a.C. Il tempio sorge su un podio in muratura, rivestito di lastre di travertino, sopra il quale il pronao, al quale si giunge tramite una gradinata, presenta quattro colonne ioniche scanalate in travertino sul fronte principale ed un’altra su ciascun lato; la cella rettangolare (nella foto 11) è costituita da muri in blocchi di tufo dell’Aniene, ai quali si addossano dodici semicolonne, con basi e capitelli di travertino.

cella del tempio di portunus
11 Cella del Tempio di Portunus

L’edificio attuale sorge sul grande terrapieno conseguente alla creazione degli argini avvenuta all’inizio del II secolo a.C. Sotto il pontificato di Giovanni VIII, tra l’872 e l’873, il tempio fu trasformato in chiesa (probabilmente la ragione della sua conservazione nei secoli) dedicata alla Vergine e denominata “S.Maria de Secundicerio“: tale nome derivò, secondo un’epigrafe ritrovata nel 1579 ed oggi perduta, dal committente, Stefano detto Secundicerio, un titolo che indicava la seconda carica più alta della Curia romana. Alla fine del XV secolo la chiesa viene menzionata con il nome di “S.Maria Egiziaca“, la protettrice delle prostitute pentite, che manterrà fino al 1916, quando venne sconsacrata e ripristinata l’antica funzione di tempio.

tempio di ercole
12 Tempio di Ercole

Identico destino lo subì l’adiacente tempietto circolare (nella foto 12), riconsacrato come chiesa cristiana nel Medioevo con il nome di “S.Stefano delle Carrozze” prima e di “S.Maria del Sole” poi, a causa di un’immagine della Vergine ritrovata nel Tevere che avrebbe emanato un raggio di sole. Questo tempietto è il più antico edificio in marmo rimasto a Roma. Un periptero di 20 colonne (di una resta solo la base) poggiante su una crepidine a gradini, con fondazione in tufo di Grotta Oscura, cingeva la cella che si apriva ad est con un’ampia porta. Un ampio restauro dell’edificio si ebbe in età tiberiana, probabilmente dopo l’inondazione del 15 d.C., quando 9 colonne e 11 capitelli furono rifatti in marmo di Luni, mentre l’edificio primitivo, databile alla fine del II secolo a.C., è in marmo greco, pentelico. La scoperta di un blocco con iscrizione alla base della statua di culto permette di identificare il tempio dedicato a “Hercules Victor“, detto “Olivarius“. Fu fondato da un mercante romano, “Marcus Octavius Herrenus“, probabilmente arricchitosi con il commercio dell’olio: Ercole era, infatti, il patrono della corporazione degli “oleari”. L’edificio è chiamato anche, erroneamente, “Tempio di Vesta“, forse perché simile a quello nel Foro Romano dedicato a Vesta.

fontana dei tritoni a piazza della bocca della verità
13 Fontana dei Tritoni

L’antica Piazza della Bocca della Verità era situata due metri sopra il piano stradale della chiesa di S.Maria in Cosmedin e per questo motivo fu fatto livellare da Clemente XI nel 1715, per dare respiro alla chiesa, resa umida dallo sprofondamento nel suolo portato da una serie di rinterri: in quell’occasione il pontefice fece collocare al centro di Piazza della Bocca della Verità la fantasiosa Fontana dei Tritoni (nella foto 13), opera dell’architetto Carlo Bizzaccheri, il quale, ispirandosi allo stemma stesso del pontefice, disegnò un grande catino ottagonale con gli otto lati concavi, sì da formare una stella a otto punte: la stella caratteristica, appunto, di Papa Albani. Un unico gradino (oggi appena visibile per l’innalzamento del terreno circostante) con una serie di 16 colonnine unite da un quadrello di ferro circondano la fontana: l’originaria disposizione delle colonnine era leggermente diversa, dato che esse offrivano quattro accessi alla fontana, dinanzi ad altrettante fistole per bere, che nel XIX secolo furono tolte. Nel mezzo, al di sopra di un gruppo di massi scolpiti da Filippo Bai, ornati di erbe acquatiche ed anch’essi di travertino come tutto il complesso della fontana, si innalzano due possenti e squamosi tritoni, opera di Francesco Moratti, inginocchiati e con le code intrecciate. I due tritoni, che si voltano la schiena, con le braccia sollevate sostengono sulle spalle una seconda tazza a forma di conchiglia di mare aperta, dalla quale fuoriesce l’acqua e sul cui bordo esterno è scolpito lo stemma del medesimo pontefice, tre monticelli sovrastati da una stella. A fianco della fontana fu posto in origine, sempre dal Bizzaccheri, un fontanile che fungeva da abbeveratoio per il bestiame, trasferito poi, in occasione dei lavori per la costruzione dei muraglioni del Tevere, nel vicino lungotevere Aventino. Ma il grave sovvertimento topografico la zona lo subì negli anni Trenta, durante il regime fascista, quando i lavori portarono all’isolamento degli antichi monumenti, “liberandoli” da quell’intrico di vicoli ristretti, contorti e maleodoranti che univano il Teatro di Marcello all’antica Piazza della Bocca della Verità. Qui, dopo modesti edifici, basse costruzioni che ospitavano botteghe da maniscalco, da fabbro ferraio e rivendite di articoli alimentari, si apriva un largo chiamato “piazza dei Cerchi” (anch’essa scomparsa), un toponimo derivato dalla corruzione della parola “circo”, che si riferisce al vicino Circo Massimo.

> Vedi Cartoline di Roma

Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Foro Boario di E.Du Pèrac
Tempio di Cibele (ovvero di Ercole) di G.B.Piranesi