Vico Jugario

vico jugario

Vico Jugario corrisponde, insieme alla via della Consolazione, all’antico “vicus Jugarius” (dove abitò anche Ovidio) che congiungeva il Foro Romano al Foro Olitorio, subito fuori la “porta Carmentalis“. Incerta l’origine del nome: probabilmente deriva dalla presenza di un altare di “Iuno Iuga“, ossia “Giunone” che univa in matrimonio (“iungere“) oppure dalle botteghe di costruttori di gioghi (“iuga“) per i buoi in relazione al vicino Foro Boario. La via, correndo sotto le estreme pendici del Campidoglio, era la continuazione, in questo tratto, dell’antichissima “via Salaria” che congiungeva la Sabina alla valle del Tevere. La più importante scoperta archeologica di testimonianze della Roma arcaica avvenne nel 1937 durante i lavori di scavo per la sistemazione della zona circostante la chiesa di S.Omobono e perciò definita “Area Sacra di S.Omobono” (nella foto in alto). Gli scavi riportarono alla luce un importantissimo santuario arcaico che fu immediatamente identificato con quello duplice di “Fortuna et Mater Matuta“, la fondazione del quale era fatta risalire, dalle fonti letterarie, al re Servio Tullio. È il più antico esempio di tempio di tipo tuscanico in ambiente romano, databile alla prima metà del VI secolo a.C. In seguito alla cacciata dei Tarquini (i re etruschi) da Roma, vennero distrutti i templi dinastici di questi, tra i quali anche il suddetto tempio.

porticus triumphalis a vico jugario
1 Porticus Triumphalis

La ricostruzione dei templi sarebbe dovuta a Camillo, subito dopo la presa di Veio (396 a.C.): in questa occasione i due templi furono costruiti adiacenti ma distinti, ognuno con una sua cella in blocchi di cappellaccio, dedicati a “Fortuna” quello occidentale ed a “Mater Matuta” quello orientale. Secondo la leggenda, Leucotea, dea dalle origini tebane, approdò, con l’aiuto delle Naiadi, sulle rive del Tevere, assumendo il nome di “Mater Matuta“, insieme al figlio “Portunus“, al quale è dedicato il vicino tempio. Nell’area archeologica oggi possiamo osservare una parte mediana con una pavimentazione in travertino, risalente all’età imperiale e, al centro, tracce di un doppio arco interpretate come i resti della “porta Triumphalis“, costruita da Stertinio nel 196 a.C., attraverso la quale i cortei trionfali entravano in città dando così inizio al loro percorso. A tal proposito vanno segnalati, all’angolo tra Vico Jugario e Via del Teatro di Marcello, i resti di un portico (nella foto 1), risalente alla fine della Repubblica, costituito da pilastri in peperino, ornati da semicolonne di ordine tuscanico, disposti su due file parallele che proseguono, in travertino, verso il Teatro di Marcello: si ritiene che si tratti di una parte del “porticus Triumphalis“, ossia del tratto monumentale che precedeva la “porta Triumphalis“. All’angolo tra Vico Jugario e Via Luigi Petroselli vi sono gli avanzi di una cella, con pavimento in cocciopisto, di uno dei due templi, quello della “Fortuna”, mentre quello di “Mater Matuta” lo si deve collocare nell’area dove oggi sorge la chiesa di S.Omobono. I due templi, quindi, risultano collocati su un unico podio e con un piccolo portico intermedio, del quale rimangono solo piccole tracce delle colonne in travertino, come quella inserita nel muro della chiesa e visibile nella foto in alto. Inoltre vi sono i resti di due altari che sorgevano davanti ai templi, probabilmente dedicati alla ninfa “Carmenta” (alla quale era dedicata anche la limitrofa “porta Carmentalis“) ed una base circolare di un donario con le tracce di alcune statue in bronzo che lo decoravano e che la seguente iscrizione “M FOLV(IOS) Q F COS(OL) D(EDET) VOLS(INIO) CAP(TO)” ha consentito di riconoscere per quello dedicato dal console “Marco Fulvio Flacco” dopo la conquista e la distruzione dell’etrusca “Volsinii” (l’attuale Orvieto) nel 264 a.C., in occasione della quale riportò a Roma ben 2.000 statue in bronzo, probabilmente depredando il santuario etrusco di “Fanum Voltumnae“. Nel VI secolo una chiesa paleocristiana si insediò nel tempio pagano di “Mater Matuta“; nel XII e nel XIII secolo la chiesa venne restaurata con l’esecuzione di una nuova pavimentazione cosmatesca. Nel 1482 la chiesa venne riedificata con il nome di “S.Salvatore in statera“, appellativo derivante dal fatto che questa era la zona degli “argentari” e la stadera era lo strumento ufficiale per il peso dell’oro e dell’argento: la bilancia era posta nel portico del Tempio di Saturno, poco distante dalla chiesa (che, infatti, si chiamò anche di “S.Salvatore in porticu“).

sant'omobono
2 S.Omobono

Ai primi del Cinquecento la chiesa si trovava in stato di totale abbandono finchè nel XVI secolo venne assegnata alla Confraternita dei Sarti che provvidero a riedificarla ed a dedicarla al loro protettore, S.Omobono (nella foto 2). Restaurata più volte nel Settecento e nell’Ottocento, ottenne l’attuale sopraelevazione per mezzo di una doppia scala in conseguenza dei lavori di scavo avvenuti tra il 1940 ed il 1942 per la sistemazione della zona. La facciata della chiesa, rivestita in laterizi, si presenta divisa in lesene, con occhio centrale e timpano, sotto il quale l’iscrizione “IN HON B. MARIAE V. AC SS. HOMOBONI ET ANTONII PAD” permette di riconoscere la dedica alla “Beata Vergine Maria, a S.Omobono ed a S.Antonio da Padova”. Ai lati del portale si possono notare due nicchie vuote, in origine destinate ad accogliere le statue di “S.Stefano” e “S.Alessio” ma che non vi furono mai collocate. Sulla maestosa cupola absidale che domina l’Area Sacra vi è collocata una bandieruola ornata da un paio di forbici aperte, emblema dell’Università dei Sarti. L’interno, irregolare, è a pianta unica, con soffitto a cassettoni ornato dalla tela del Mariani raffigurante “l’Incoronazione di Maria tra i Ss.Omobono e Antonio”: nel 1940 vi fu aggiunto lo stemma di Roma ornato dal fascio.