S.Angelo è il più piccolo rione di Roma ed occupa una parte dell’antica “Regio IX” di Augusto sulla quale si elevavano monumenti solenni come il Teatro di Marcello, il Teatro di Balbo ed il Circo Flaminio. Su tutto, occupa una posizione monumentale il Ghetto, un documento sociale, religioso, umano, storico, un ritaglio della città esposto alla suggestione dei vicoli e dei sentimenti. Il popolo ebraico è presente a Roma dall’epoca di Pompeo, aumentò sotto Augusto fino a raggiungere il massimo della conquista sociale ai tempi di Poppea Sabina, moglie di Nerone ed ebrea. Il vero autore del Ghetto fu Paolo IV Carafa. che il 14 luglio del 1555, con la bolla “Cum nimis absurdum“, volle separare le abitazioni degli ebrei da quelle dei cristiani, circoscrivendo la zona con un muro e tre porte, su “piazza Giudia“, presso S.Angelo in Pescheria e presso “S.Gregorio de quattro capora“. Nel 1586 papa Sisto V ampliò il Ghetto verso il Tevere, che assunse così una forma trapezoidale con i vertici a “piazza Giudia“, a S.Angelo in Pescheria, a S.Gregorio ed a Monte de’ Cenci, aumentandone anche i portoni o “catene”, detti “della Rua“, “Regola“, “Pescheria“, “Quattro Capi” e “Ponte“. Gli ingressi venivano chiusi dal tramonto all’alba, quando le porte venivano aperte soltanto per chi aveva un permesso speciale o per esercitare i due soli mestieri a loro consentiti: vendita ambulante di stracci e prestiti ad usura, indossando sempre però lo speciale contrassegno di colore giallo a dimostrazione della loro appartenenza al popolo ebraico. Le condizioni igieniche all’interno del Ghetto erano spaventose, con frequenti epidemie, dovute anche all’enorme affollamento umano, in conseguenza del fatto che qui confluirono gli ebrei espulsi dal Regno di Napoli e dalle altre città pontificie: oltre ad Ancona, questa era l’unica località degli Stati Pontifici ove fosse loro consentito vivere. Una superficie insufficiente, quindi, al gran numero di abitanti e le incombenti piene del Tevere comportò l’aumento delle unità abitative in altezza, con sopraelevazioni ma anche con superfetazioni, ovvero ballatoi, sovrappassi, scale esterne, ponti aerei, divenendo la regola che caratterizzò il Ghetto per più di tre secoli. Nell’Ottocento papa Leone XII ampliò ulteriormente l’area, inglobando il nuovo braccio tra via della Reginella e via di S.Ambrogio fino a piazza Mattei: furono aggiunti altri tre portoni, quello “della Reginella”, di un altro tratto di “Pescheria” ed il portone grande di “piazza Giudia“.
Il Ghetto romano (nella foto 1, un’antica fotografia di via del Portico di Ottavia) costituì un unicum urbano, sovraffollato, degradato, apportatore di malattie e morte. Al suo interno inevitabile fu la differenza sociale: le famiglie ricche abitavano nelle case poste verso l’esterno, lontane cioè dal fiume, dove vivevano invece i poveri: questa era la zona che per prima veniva invasa dalle acque, e non soltanto durante le inondazioni eccezionali. Le abitazioni spesso rimanevano sommerse dalle acque fino al terzo piano e dopo era difficile risanare dalla melma e dall’umidità queste case degradate e spesso prive di sole. Nel 1848 Pio IX cancellò la sconcezza del “serraglio” ordinando di abbattere il muro ed i portoni, ma fu dopo il 1870, con la costruzione dei muraglioni e l’apertura dei lungotevere, che il Ghetto fu definitivamente abolito. Nel 1888, con l’attuazione del nuovo Piano Regolatore, la maggior parte delle antiche strade, dei vicoli e degli edifici furono demoliti: scomparvero così “via della Scuola Catalana“, “vicolo Capocciuto“, “vicolo del Pancotto“, “via della Stufa“, “via delle Animelle” e la pittoresca “via della Rua“. Il Rione S.Angelo fu nominato XI rione di Roma il 18 maggio 1743, con chirografo di Papa Benedetto XIV. Lo stemma del rione è rappresentato da un angelo con un ramo di palma nella mano sinistra.
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Avanzi medioevali nel Ghetto di E.R.Franz