Piazza Capodiferro prende il nome dal palazzo (nella foto sopra) fatto costruire dal Cardinale Girolamo Capodiferro nel 1540 su progetto di Bartolomeo Baronino di Casale Monferrato con la collaborazione di Giulio Mazzoni per le decorazioni della facciata. Il pianterreno è rivestito di bugnato rustico a conci alterni, con uno splendido portale centinato al centro di otto finestre architravate ed inferriate. Sopra una spessa fascia marcapiano si svolge il suggestivo apparato decorativo costituito, al primo piano, da nove finestre che si alternano ad otto nicchie centinate e sormontate da timpani che accolgono altrettante statue in stucco raffiguranti, da sinistra a destra, Traiano, Gneo Pompeo, Fabio Massimo, Romolo, Numa, Marco Claudio Marcello, Cesare ed Augusto. Sui timpani si trovano coppie di putti che sorreggono festoni, targhe, medaglioni, nei quali si ripete l’impresa dei Capodiferro, costituita da un cane accanto ad una colonna ardente con il motto “UTROQ(UE) TEMPORE“, ovvero “In ogni tempo”.
Al centro vi è lo stemma degli Spada (nella foto 1) costituito da tre spade in banda l’una sull’altra e tre gigli in testa. I medaglioni sono intervallati dalle finestrelle del mezzanino, incorniciate con particolare decorazione. Sulla fascia superiore poggiano cariatidi e candelabre che sorreggono il sovrastante festone. Le finestre sono intervallate da specchiature con cornici a stucco contenenti iscrizioni relative alle statue del primo piano.
Splendido il cortile (nella foto 2), dove triglifi e metope corrono sulle arcate del portico con gli emblemi dei Capodiferro. Le finestre del primo piano poggiano su un fregio con la Centauromachia (la lotta sostenuta da Teseo e dai Lapiti contro i centauri ubriachi che volevano rapire la sposa e le altre donne durante i festeggiamenti per le nozze di Piritoo ed Ippodamia) e la Caccia alle fiere. Come sulla facciata esterna anche qui le finestre si alternano a nicchie contenenti statue, in questo caso però coppie di divinità unite nella leggenda, come Ercole ed Onfale, Venere e Marte, Giove e Giunone, Anfitrite e Nettuno, Minerva e Mercurio, Proserpina e Plutone: a quest’ultimo, nel 1849, fu troncato un dito da una cannonata francese sparata contro i difensori della Repubblica Romana. La decorazione prosegue nella fascia dell’ammezzato e, ancora più in alto, con un fregio di divinità marine.
Dopo la morte del Cardinale Capodiferro, avvenuta nel 1559 a soli 57 anni, il palazzo, dopo varie locazioni a cardinali ed ambasciatori, nel 1632 fu acquistato per 31.500 scudi dal cardinale Bernardino Spada (difatti oggi è più conosciuto come Palazzo Spada) che lo trasformò in una vera reggia. Questi, infatti, incaricò Paolo Marucelli (conosciuto anche come Maruscelli), Vincenzo della Greca e Francesco Borromini di ristrutturare il palazzo. Proprio al Borromini si deve il colonnato prospettico tanto famoso dove le pareti convergono, il pavimento sale, il soffitto si inclina, gli intervalli fra i pilastri diminuiscono, i 42 riquadri del suolo rimpiccioliscono in prospettiva, le colonne doriche digradano d’altezza mano a mano che si allontanano (la prima è di 5,68 metri e l’ultima di appena 2,47 metri) ed il tutto fa apparire la galleria lunga almeno 40 metri quando ne misura solo 8,82 (nella foto 3): in fondo alla galleria è collocata la statuetta ottocentesca di Marte, alta poco più di 60 cm, ma anche questa, in apparenza, sembra gigantesca. I cardinali raccolsero una stupenda collezione di dipinti, oggi in mostra nella Galleria Spada insieme a sculture classiche ed a mobili del XVIII secolo: vi sono opere di Rubens, Dürer e Guido Reni. Degne di nota la “Visitazione” di Andrea del Sarto, “Caino e Abele” di Giovanni Lanfranco e “La Morte di Didone” di Guercino.
Al piano nobile del palazzo, nella Sala delle Adunanze Generali, si conserva anche la statua di Pompeo (nella foto 4), alta tre metri, in marmo pentelico, proveniente dalla Curia di Pompeo e rinvenuta nel 1552 in via de’ Leutari ed ai cui piedi il 15 marzo del 44 a.C. (Idi di marzo) Giulio Cesare fu colpito dai congiurati con 23 pugnalate, pronunciando le famose parole “Tu quoque, Brute, fili mi!“, ovvero “Anche tu, Bruto, figlio mio!”. Dopo la morte di Bernardino Spada (1661) per tutti i secoli seguenti il palazzo non subì trasformazioni, se non piccoli restauri. Nel 1927 lo Stato procedette all’acquisto dell’edificio, oggi sede del Consiglio di Stato.
Su Piazza Capodiferro, dinanzi all’ingresso del palazzo, sulla facciata laterale dell’antistante palazzo Ossoli, è situata una fontana (nella foto 5) che fu realizzata in sostituzione di una settecentesca conosciuta come la Fontana delle Mammelle, probabilmente realizzata su disegno di Francesco Borromini e costituita da un’erma femminile dalle cui mammelle fuoriusciva l’acqua: si ritiene che questo fu il motivo per cui fu demolita in quanto giudicata indecente ed immorale. La fontana odierna, posta entro una nicchia poco profonda, è stata ricostruita sostituendo l’erma con una sagoma in legno dipinta a monocromo, le cui mammelle però non zampillano più. L’acqua fuoriesce dalla bocca di una testa di leone che si riversa in un sarcofago strigilato dal quale due protomi leonine simmetriche riversano l’acqua nella sottostante vasca di raccolta a livello stradale protetta da due colonnine collegate da una ringhiera di ferro.