Una grandiosa villa sorgeva nel punto dove l’Acqua Vergine usciva dal condotto sotterraneo per attraversare su arcate il Campo Marzio: erano gli Horti Luculliani, una delle più belle ville romane, forse la più bella e grandiosa, con il palazzo che occupava l’area dove oggi è situata la chiesa della Ss.Trinità dei Monti. La storia della chiesa, un tempo denominata “Trinità del Monte” (in riferimento al Pincio), ebbe inizio nel 1494 con l’acquisizione di una vigna da parte del re di Francia, Carlo VIII, e con la donazione di 347 scudi per “une fabrique propre à loger commodément six religieux”, ovvero “una fabbrica adeguata per ospitare comodamente sei religiosi” appartenenti all’Ordine dei Minimi di S.Francesco da Paola. I lavori iniziarono nel 1502, durante il regno di Luigi XII, e proseguirono per buona parte del XVI secolo. La prima parte della chiesa fu costruita tra il 1502 ed il 1519 in stile gotico, coperta da volte a crociera ogivali, e fu realizzata dagli architetti Annibale Lippi e Gregorio Caronica. L’area destinata alla “fabbrica” era tuttavia troppo piccola ed angusta, per cui i religiosi avevano a disposizione soltanto una piccola “domus cum oratorio”, come la definì lo stesso S.Francesco da Paola. Questo è il motivo per cui, in occasione dei lavori di restauro per i danni provocati dal Sacco di Roma del 1527, si rese necessaria la costruzione di un complesso adeguato. Dopo l’acquisizione di una serie di vigne limitrofe, nel 1530 iniziarono i lavori di restauro ed ampliamento. Un grosso impulso ai lavori fu dato sicuramente dal cardinale Georges D’Armagnac, personaggio di rilievo a partire dal conclave del 1550 e nel biennio successivo. Proprio nel 1550 i cardinali francesi convenuti a Roma fecero costruire a loro spese gran parte del chiostro e vi fecero apporre le loro armi. I lavori, ultimati nel 1570, consegnarono ai padri francesi dei Minimi un convento più grande ed una chiesa con un nuovo corpo di fabbrica, coperto da volta a botte e chiuso da una facciata ornata da due campanili simmetrici, opera di Giacomo della Porta e Carlo Maderno.
La chiesa (nella foto 1), consacrata nel 1585 dal pontefice Sisto V, fu costruita con le pietre provenienti dalla città francese di Narbonne, per espresso volere di re Luigi XII. Tra il 1585 ed il 1586 papa Sisto V incaricò Domenico Fontana di aprire una strada che collegasse il Pincio con la basilica di S.Maria Maggiore, che dal nome di battesimo del pontefice stesso, ossia Felice Peretti, fu denominata “strada Felice“, oggi frazionata in via Sistina, via delle Quattro Fontane, via Agostino Depretis, via Carlo Alberto, via Conte Verde e via di S.Croce in Gerusalemme. Al termine dei lavori, però, il piano stradale era divenuto decisamente inferiore rispetto all’ingresso del convento e della chiesa a causa dei sbancamenti che furono necessari per livellare il tracciato.
Per ovviare al problema l’architetto progettò e costruì la scalinata a due rampe convergenti che conduce alla chiesa: i pilastri (uno dei quali visibile nella foto 2) posti alle due estremità della scala presentano lo stemma della famiglia Peretti, i tre monti, e, sopra a due bellissimi capitelli risalenti al XVII secolo, due erme con bassorilievi raffiguranti S.Luigi, in onore di re Luigi XII. La facciata, ad un solo ordine di lesene e conclusa da un attico con lunettone centrale e balaustra, risulta proiettata verso l’alto grazie ai due campanili simmetrici con cupolino ottagonale. Caratteristici i due orologi posti alla base dei campanili in quanto uno segna l’ora di Roma e l’altro quella di Parigi. Magnifico il portale inquadrato da due colonne ioniche che sostengono una trabeazione ed un frontone triangolare.
L’interno è composto da un’unica grande navata sulla quale si aprono sei cappelle laterali ornate da pregevoli opere d’arte, come la celebre “Deposizione” di Daniele da Volterra (nella foto 3), uno dei più insigni capolavori dell’allievo di Michelangelo, che, nell’altra sua opera conservata sempre all’interno della chiesa, l’Assunzione, ha dipinto il ritratto del suo maestro (ultima figura a destra). Originariamente una cancellata in ferro battuto era collocata all’altezza della crociera, allo scopo di tenere separata la zona della clausura da quella pubblica: oggi, posta all’altezza della quarta campata, separa la parte più antica, quella coperta da volte a crociera ogivali.
Nella chiesa della Ss.Trinità dei Monti vi è sepolto il cardinale Jean Du Bellay e vi si venera l’affresco della Vergine (nella foto 4) che la giovane postulante francese, poi divenuta religiosa, Pauline Perdreau dipinse, alla metà del XIX secolo, in uno dei corridoi del chiostro, all’epoca abitato dalle Suore del Sacro Cuore. Il dipinto, che raffigura la Vergine adolescente con accanto un fuso mentre è assorta in preghiera nel Tempio di Gerusalemme, fu completato nel 1844 ma la Madre Superiora decise di coprirlo con un telo perché riteneva che i colori fossero troppo brillanti. Il 20 ottobre 1846 papa Pio IX, in visita al convento, incuriosito dal telo chiese di vedere cosa nascondesse, nonostante la reticenza della Madre Superiora. Il Papa, quando vide l’affresco, affascinato esclamò: “Mater admirabilis!” (ovvero “Madre ammirabile!”) ed ordinò non soltanto che l’affresco rimanesse visibile ma autorizzò anche la trasformazione della nicchia in cappella. In breve tempo l’affresco divenne meta di pellegrinaggio in concomitanza con il diffondersi di racconti di grazie e di conversioni dovute alla sua intercessione.
Tra il 1617 ed il 1622 il fabbricato del convento (nella foto 5) venne completamente ricostruito nelle forme attuali dall’architetto Bartolomeo Breccioli. Notevole divenne la fama del convento per gli studi di carattere scientifico compiuti dai Minimi, che allestirono una ricca biblioteca nel campo della biologia, matematica, fisica e scienze naturali. Il 12 febbraio 1798 il convento fu occupato dalle truppe francesi e subì gravi danni, anche per la confisca dei libri della biblioteca e dei tesori artistici; inoltre artisti francesi si insediarono negli ambienti monastici creandovi autentici studi, con la stessa chiesa adibita a galleria. Dopo la caduta di Napoleone, gli artisti furono sfrattati e tutto il complesso fu restaurato nel 1816 dall’architetto François-Charles Mazois per volere dello stesso re di Francia, Luigi XVIII, che volle così ripagare l’oltraggio napoleonico. Una nota curiosa è data dal fatto che in occasione del restauro l’architetto coprì l’antica epigrafe sottostante il cornicione della chiesa, “S(ANCTAE) TRINITATI REGUM GALLIAE MUNIFICENTIA ET P(R)IOR ELE(E)MOSYNIS ADIUTA MINIMORUM SODALITAS STRUXIT AC DD ANNO D(OMINI) MDLXX“, ovvero “L’Ordine dei Minimi, con la generosità dei Re di Francia e prima aiutata dalle elemosine, eresse e dedicò alla Santa Trinità nell’Anno del Signore 1570”, trasformandola in “S.TRINITATI REGUM GALLIAE MUNIFICENTIA LUDOVICUS XVIII RESTITUIT ANNO MDCCCXVI“, ovvero “Ludovico XVIII (ossia Luigi XVIII) restituì alla Santa Trinità con la generosità dei Re di Francia nell’Anno 1816”: in pratica la costruzione del convento non risultava più opera dei Minimi grazie alla “munificentia” del re di Francia ma veniva evidenziata solo la generosità dei Re di Francia, in particolare di Luigi XVIII. L’antica epigrafe sarà poi riportata alla dizione originale pochi decenni dopo, in occasione del restauro del 1871. In seguito all’abbandono dei Minimi, nel 1828, il complesso fu donato alle Suore dell’Istituto del Sacro Cuore, che vi insediarono una scuola tuttora in attività e tra le più aristocratiche della città.
Notevole il chiostro (nella foto 6), che può essere raggiunto direttamente dalla chiesa oppure dall’ingresso del convento situato sul fianco sinistro della chiesa. Le arcate, nove nei lati lunghi e sette nei corti, sono sorrette da pilastri dorici. Soltanto l’arcata centrale di ogni fianco permette l’accesso al cortile interno, dove si trova un pozzo ottagonale; tutte le altre sono invece chiuse alla base da una caratteristica balaustra. Sotto i portici le pareti sono decorate con una serie di affreschi che raffigurano episodi della vita di S.Francesco da Paola.
Dinanzi alla chiesa è collocato l’obelisco Sallustiano (nella foto 7), portato a Roma quasi certamente da Aureliano e da questi fatto collocare all’interno degli Horti Sallustiani (dai quali prende il nome). L’obelisco, alto metri 13,91, di granito rosso, è egizio-romano perché fu inciso anticamente a Roma con iscrizioni mal ricopiate dal monolite di piazza del Popolo. Per secoli giacque semi-abbandonato nell’area degli Horti Sallustiani (fu ritrovato all’altezza dell’attuale via Sicilia) dove fu abbattuto dalle orde di Alarico nel 410; nel XVI secolo Sisto V lo voleva innalzare dinanzi a S.Maria degli Angeli, iniziativa poi sfumata per la morte del papa, nel 1734 Clemente XII lo fece trasportare al Laterano con l’intenzione di innalzarlo dinanzi alla basilica ma poi rimase in terra, vicino all’obelisco Lateranense, per oltre mezzo secolo. Sarà necessario attendere fino al 1789 affinché l’obelisco fosse nuovamente innalzato: Pio VI incaricò l’architetto Giovanni Antinori di erigerlo dinanzi alla chiesa della Ss.Trinità de’ Monti per fare da prospetto alla scalinata ed alla via dei Condotti, ma anche da ideale collegamento con l’obelisco di S.Maria Maggiore, visibile all’orizzonte in fondo al “cannocchiale” di via Sistina. Da segnalare che questo obelisco è l’unico ad affiancare alla croce un simbolo diverso da quello pontificio: infatti l’elemento sommitale è costituito da un giglio, impresa araldica del re di Francia, sormontato da una stella e da una croce. Il basamento presenta tre iscrizioni; sul lato prospiciente la scalinata è incisa la seguente epigrafe: “PIUS VI PONTIFEX) MAX(IMUS) OBELISCUM SALLUSTIANUM QUEM PROLAPSIONE DIFFRACTUM SUPERIOR AETAS IACENTEM RELIQUERAT COLLI HORTULORUM IN SUBSIDENTIUM VIARUM PROSPECTU IMPOSITUM TROPAEO CRUCIS PRAEFIXO TRINITATI AUGUSTAE DEDICAVIT”, ovvero “Pio VI Pontefice Maximo, l’obelisco Sallustiano che spezzato per la caduta nei tempi passati giaceva abbandonato, posto in vista dalle strade sottostanti sul fianco degli horti, (dopo aver) munito con il segno della Croce dedicò alla Santa Trinità”. Il lato rivolto a nord, verso Villa Medici, riporta la scritta “III EIDUS APRIL(IS) ANNO M DCC LXXXVIIII” ovvero “3 giorni prima delle Idi di Aprile (11 aprile) dell’Anno 1789”, mentre il lato rivolto a sud, verso via Sistina, riporta la scritta “SACRI PRINCIPATUS EIUS ANNO XV” ovvero “Nell’Anno 15° del suo Santo Pontificato”.
Da sottolineare che il basamento attuale non è quello originale ma fu creato appositamente al momento dell’erezione dell’obelisco: l’originale (nella foto 8), rinvenuto nel 1912 tra via Sicilia e via Sardegna, fu posto nel 1926 nel giardino accanto a palazzo Senatorio, all’inizio dell’attuale via di S.Pietro in Carcere, ed utilizzato come “Ara ai Caduti Fascisti”. Nel 1946 il monumento venne demolito ma il basamento, protetto da una piccola balaustra, si trova ancora lì.
In passato, dalla Piazza di Trinità dei Monti si raggiungeva la zona bassa di piazza di Spagna attraverso due strade non carrozzabili, ripide e fangose, poste lungo il pendio del colle, ma il notevole dislivello rappresentava una vera e propria frattura tra i due poli urbani. Difatti già nel ‘500 l’apertura del rettifilo via dei Condotti – via della Fontanella di Borghese – via del Clementino (corrispondente all’antica “via Trinitatis“) che congiungeva piazza di Spagna al Tevere aveva convogliato nella zona l’intenso traffico derivante dalle attività commerciali svolte lungo il fiume. Allora vari progetti si succedettero per collegare la chiesa alla sottostante piazza di Spagna, tra cui anche quello relativo ad una grandiosa fontana scenografica, ma il progetto non poté essere effettuato per le grosse spese che imponeva. Il primo a concepire l’idea della scalinata fu il cardinale Mazzarino nel 1660, senza riuscire ad andare più in là dell’esecuzione di alcuni disegni eseguiti dall’architetto d’Orbais. Alla morte del cardinale, avvenuta nel 1661, comparve sulla scena un nobile francese, Ètienne (Stefano) Gueffier, il quale, in un testamento redatto nel 1659, lasciava erede dei suoi beni il convento dei Minimi della Trinità de’ Monti (come recita anche la targa posta lungo la scalinata), a patto che 400 scudi fossero destinati a spianare il tracciato per la scalinata e 20.000 venissero destinato alla scalinata stessa. Si dovette attendere però il 1720 circa, quando il progetto dell’architetto Francesco de Sanctis fu approvato dai Francesi (proprietari del terreno) e da papa Innocenzo XIII Conti (ma solo a patto che venissero eliminate alcune impronte troppo straniere dell’opera, che in origine prevedeva l’inserimento di molti simboli francesi e persino di una statua equestre di Luigi XIII). La scalinata di Trinità dei Monti (nella foto 9), terminata nel 1726, alterna tratti curvi, tratti diritti e terrazze, costituendo uno degli esempi più rappresentativi dell’ultima arte barocca, di cui sintetizza il gusto scenografico e spettacolare. La soluzione non piacque molto ai critici del tempo, ma fu amata molto dal popolo, che ne apprezzò proprio la sua funzionalità e comodità. La scalinata si articola in una successione di rampe di 12 gradini ognuna, ai quali vanno aggiunti i quattro gradini iniziali, per un totale di 136: all’inizio possiamo notare i cippi con i gigli di Francia e le aquile di Innocenzo XIII Conti.
Due grandi iscrizioni in latino, entrambe risalenti al 1725, sono situate lungo la scalinata di Trinità dei Monti e ne documentano le vicende: la più alta (nella foto 10) ricorda che “D.O.M. SEDENTE BENEDICTO XIII PONT MAX LUDOVICO XV IN GALLIIS REGNANTE EIUSQ APUD SANCTAM SEDEM NEGOTIIS PRAEPOSITO MELCHIORE SR ECCLESIAE CARDINALI DE POLIGNAC ARCHIEPISCOPO AUSCITANO AD SACRAE AEDIS ALMAEQUE URBIS ORNAMENTUM AC CIVIUM COMMODUM MARMOREA SCALA DIGNO TANTIS AUSPICIIS OPERE ABSOLUTA ANNO DOMINI MDCCXXV”, ovvero “A Dio Ottimo Maximo, regnando Benedetto XIII Pontefice Massimo, Luigi XV regnante in Francia, Melchiorre De Polignac, Cardinale di Santa Romana Chiesa, Arcivescovo di Aquitania, preposto agli affari presso la Santa Sede, ad ornamento del sacro tempio e della città vitale, per comodità dei cittadini, questa scala di marmo, degna opera di tanti auspici, portata a termine nell’Anno del Signore 1725”. La seconda recita così: “D.O.M. MAGNIFICAM HANC SPECTATOR QUAM MIRARIS SCALAM UT COMMODUM AC ORNAMENTUM NON EXIGUUM REGIO COENOBIO IPSIQ URBI ALLATURAM ANIMO CONCEPIT LEGATAQ SUPREMIS IN TABULIS PECUNIA UNDE SUMPTUS SUPPEDITARENTUR CONSTRUI MANDAVIT NOBILIS GALLUS STEPHANUS GUEFFIER QUI REGIO IN MINISTERIO DIU PLURES APUD PONTIFICES ALIOSQUE SUBLIMES PRINCIPES EGREGIE VERSATUS ROMAE VIVERE DESIIT XXX JUNII MDCLXI. OPUS AUTEM VARIO RERUM INTERVENTU PRIMUM SUB CLEMENTE XI CUM MULTI PROPONERENTUR MODULI ET FORMAE DEINDE SUB INNOCENTIO XIII STABILITUM ET R P BERTRANDI MONSINAT TOLOSATIS ORD MINORUM S FRANCISCI DE PAULA CORRECTORIS GENLIS FIDEI CURAEQ COMMISSUM AC INCHOATUM TANDEM BENEDICTO XIII FELICITER SEDENTE CONFECTUM ABSOLUTUMQUE EST ANNO IUBILEI MDCCXXV”, ovvero “A Dio Ottimo Massimo, spettatore che ammiri questa magnifica scalinata, affinché fosse collegata per comodità e di non poco ornamento al regio convento ed alla città stessa concepì in animo e lasciato in eredità come testamento il denaro per la copertura delle spese, dispose che fosse costruita il nobile francese Stefano Gueffier, il quale, curato egregiamente l’incarico regio a lungo presso diversi pontefici ed altri illustri principi, cessò di vivere a Roma il 30 giugno 1661. D’altra parte l’opera, per l’intervento di varie circostanze, prima posta in esame sotto Clemente XI affinché venissero presentati molti disegni e progetti, poi sotto Innocenzo XIII ed affidata alla buona fede ed alla cura del Reverendo Padre Bertrando Monsinat di Tolosa, correttore generale dell’Ordine dei Minimi di S.Francesco da Paola ed avviata infine mentre felicemente sedeva (sul soglio pontificio) Benedetto XIII fu realizzata e compiuta nell’Anno Giubilare 1725”. Caratteristico nell’Ottocento il via vai delle piccole ciociare in costume tradizionale che vendevano fiori lungo la scalinata, tradizione interrotta poi dalle autorità che proibirono di vendervi fiori. Oggi la scalinata è sempre colma di turisti che qui siedono per un momento di riposo ma anche per godersi questo luogo così affascinante e romantico, quasi a volerne assorbire l’atmosfera magica. Vogliamo qui riportare una curiosa nota del Valesio, risalente all’agosto 1737, sulla vita notturna della scalinata e delle due piazze che essa unisce e che anticipa i nostri tempi: “Si era introdotto un abuso, ora che la gente per il caldo si gira per la città di notte, che in piazza di Spagna e sopra il monte Pincio si facevano balli con suoni fra uomini e donne, non conoscendosi l’un l’altro, il che venuto a far notizia del cardinal Vicario, vi ha mandato i suoi esecutori ed è stato tolto l’abuso”.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Trinità dei Monti di G.B.Falda