Via di Monte Giordano collega via di Panico a via della Vetrina e prende il nome da un rialzo ottenuto dalle rovine derivanti dalle distruzioni di Roberto il Guiscardo nel XII secolo, epoca in cui è segnalato un complesso fortificato appartenente ad un tal Giovanni Ronzoni: da qui anche la denominazione di “Monte Ronzone” o “Roncione“. Da questa famiglia l’edificio giunse per eredità agli Orsini, come risulta da un documento del 1262, in particolare a Napoleone Orsini, fratello di Giordano Orsini, dal quale il complesso fortificato in seguito prese il nome. Il palazzo (nella foto sopra), situato al civico 36, da allora divenne la roccaforte degli Orsini, un complesso compreso tra il vicolo Domizio, via di Panico, via di Monte Giordano, vicolo del Montonaccio e via dei Gabrielli e costituito da torri ed edifici suddivisi fra i vari rami della famiglia: i duchi di Bracciano, i conti di Pitigliano, i signori di Marino e di Monterotondo. Fra questi i più importanti furono i duchi di Bracciano, che vi abitarono saltuariamente, cedendolo spesso in uso a cardinali ed ambasciatori. L’antica struttura fu trasformata in una sontuosa dimora gentilizia da Giordano Orsini, dopo che il palazzo fu saccheggiato ed incendiato nel 1485 durante la cruenta battaglia con Cesare Borgia. Nel 1549 il palazzo fu abitato dal cardinale Ippolito d’Este che lo utilizzò come luogo di incontri mondani e culturali, ospitando un letterato come Torquato Tasso. Successivamente venne abitato da Maurizio di Savoia che si prodigherà per abbellirlo, arrivando a spendere oltre 30.000 scudi in occasione dell’elevazione al trono imperiale di Federico III. Nel 1688 Flavio Orsini, ultimo duca di Bracciano, fu costretto a vendere il complesso, per gli enormi debiti accumulati, ai fratelli Pietro e Antonio Gabrielli, di antica nobiltà romana, marchesi di Prossedi e Roccasecca. La famiglia Gabrielli apportò importanti modifiche al complesso dandogli l’aspetto attuale e lo tennero fino al 1888, ospitandovi numerose personalità illustri, tra cui l’imperatrice Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, ed il cardinale Luciano Bonaparte, che qui morì nel 1895. Vogliamo ricordare che in quegli anni i Gabrielli si erano imparentati con la famiglia Bonaparte: nel 1815 il principe don Mario Gabrielli si era sposato con Carlotta Bonaparte ed il loro figlio, Placido, nel 1856 aveva preso in sposa sua cugina Augusta Bonaparte. L’ultimo cambiamento di proprietà avvenne a favore dei Taverna di Milano, che ne sono ancora proprietari. Il complesso si distingue in cinque edifici raccolti tra alti muri cinquecenteschi che costituiscono l’originaria struttura dell’antico palazzo attribuito a Baldassarre Peruzzi. Il palazzo più antico è quello che si affaccia su vicolo Domizio ed ha un cortile quattrocentesco, con un porticato con snelle colonne dai capitelli decorati; a questo edificio si addossa il palazzo dei duchi di Bracciano, con bella porta del Quattrocento e stemma Orsini, che prospetta su via di Panico ma presenta due avancorpi verso via di Monte Giordano. Il palazzo che prospetta su via dei Gabrielli, unito nel 1807 al precedente edificio, è quello dei conti di Pitigliano, mentre, in un altro cortile, è situato il palazzo dei signori di Monterotondo, la cui facciata prospetta verso il vicolo di Montonaccio e rimane occultata dalla Torre Augusta, eretta nel 1880 per volontà di Placido Gabrielli in onore della moglie Augusta.
Dal grande ingresso a volta di Via Monte Giordano si può intravvedere la bellissima fontana (nella foto 1) costruita da Antonio Casoni nel 1618 e situata all’imbocco della cordonata che porta ai cortili del palazzo. La fontana è costituita da quattro vasche successive e concentriche, di cui le due superiori, con bordo mistilineo, sono sostenute da un alto piede. Queste due vasche sono raccordate a quella sottostante tramite volute floreali disposte simmetricamente e frontali rispetto all’ingresso del palazzo. Dallo zampillo posto al centro della vasca più alta l’acqua, per tracimazione, scende nelle vasche sottostanti. La fontana è completata da un’esedra di alloro.
La fontana fu modificata nel Settecento dai Gabrielli, perché in precedenza due orsi, simboli araldici degli Orsini, erano posti in cima a due muri posti ai lati della fontana (ben visibili nell’incisione secentesca 2 di G.B.Falda) e dalla bocca dei quali partiva uno zampillo poderoso che faceva giungere l’acqua all’interno della seconda vasca.
Gli orsi (uno dei quali nella foto 3) vi sono ancora, ma non sono più in asse con la fontana, bensì alle sue spalle.
Al civico 2 della via si trova il Palazzetto Avila (nella foto 4), costruito nella seconda metà del Seicento per questa famiglia di commercianti spagnoli presenti a Roma sin dal Cinquecento, che si estinsero alla fine del Seicento negli Altoviti. L’edificio apre al pianterreno con un portale barocco decorato con i simboli araldici degli Avila, un’aquila che tiene tra gli artigli della zampa sinistra un ramo di palma; lo affiancano, ai lati, due porte di rimessa e quattro finestre centinate. La lunga facciata è costituita da due piani di sette finestre ciascuno, scanditi da due fasce marcapiano: al primo piano le finestre sono architravate, ma quella centrale, al di sopra del portale, presenta un timpano curvilineo; al secondo piano le finestre sono a cornice semplice. A chiusura, un ricco cornicione a guscio nel quale si alternano aquile araldiche, rose e gigli. Nel palazzetto nacque nel 1830 il poeta drammatico Pietro Cossa.