Via del Sudario, situata tra Via del Monte della Farina e largo di Torre Argentina, è una via piccola e stretta che prende il nome dalla chiesa del Ss.Sudario (nella foto sopra) che quivi sorge, riedificata nel 1604 da Carlo di Castellamonte sulla preesistente chiesa di “S.Ludovico” ed affidata all’Arciconfraternita dei Piemontesi e Savojardi. Restaurata da Carlo Rainaldi nel 1678, la chiesa fu devastata nel 1798 dai francesi, che la adibirono a scuderia e poi a magazzino, finché non venne nuovamente restaurata nel 1856 da Giacomo Monaldi. Dopo il 1870 la chiesa passò sotto il patronato della Casa Reale dei Savoia, divenendone in pratica la cappella privata. Anche il toponimo della chiesa è strettamente legato ai Savoia: infatti il termine “Sudario” deriva dalla copia della Sacra Sindone, conservata all’interno della chiesa, dal 1430 affidata alla custodia dei Savoia e tuttora conservata nella Cappella della Sacra Sindone del Duomo di Torino. La chiesa presenta una facciata a due ordini scanditi da paraste e separate da un timpano spezzato; l’ordine inferiore presenta una porta centrale con timpano curvilineo e due porte laterali sormontate da una finestrella con cornice triangolare. L’ordine superiore presenta una finestra centrale con timpano spezzato sormontato dallo stemma sabaudo sorretto da due leoni.
L’interno (nella foto 1) ospita le figure di cinque beati di casa Savoia, opera di Cesare Maccari e di Giovan Domenico Cerrini detto “il Cavalier Perugino”. Sopra l’altare maggiore vi è, entro un’opera in stucco di Antonio Raggi riproducente una “Gloria di Angeli con il Padre Eterno”, una copia della Sacra Sindone (come sopra già menzionato) delle stesse misure dell’originale, realizzata nella metà del XVII secolo dalla Venerabile Maria Francesca Apollonia di Savoia, terziaria francescana, poi donata alla chiesa da Alessandro VII.
Sulla via si trova una seconda chiesetta, dedicata a S.Giuliano dei Fiamminghi (nella foto 2), fondata, si dice, ai tempi di papa Gregorio II (715-731) allorché i Fiamminghi si convertirono al cristianesimo. Originariamente la chiesa aveva un piccolo ospedale annesso per i fiamminghi, all’interno del quale potevano esservi ammessi anche i non malati per non più di tre giorni, in pratica un ostello per i pellegrini belgi in visita giubilare: nel 1094 ospitò anche Roberto II Conte di Fiandra venuto a Roma per partecipare alla Prima Crociata. Nel secolo XIV i due edifici furono restaurati e la chiesa nei secoli successivi fu ingrandita ed abbellita: lo stato attuale lo assunse nel 1675 ed è tuttora la chiesa nazionale belga. La facciata si presenta a due ordini, divisi da paraste che nell’ordine inferiore hanno le volute dei capitelli ionici legati da piccoli festoni. Nel secondo ordine vi è collocata, entro una nicchia, la statua seicentesca di “S.Giuliano”. Ai lati dell’arco della nicchia vi sono raffigurati due leoni fiamminghi, emblema della bandiera delle Fiandre, mentre un timpano triangolare corona il tutto.
Al civico 44 è situata la cosiddetta Casa del Burcardo (nella foto 3), un edificio fatto costruire da Giovanni Burkardt (più noto appunto con il nome italianizzato di Burcardo), maestro delle cerimonie pontificie dal 1484 al 1506, anno della sua morte. La casa, costruita in uno stile tardogotico tedesco, fu costruita intorno ad un’antica torre chiamata popolarmente “Argentina”, dal nome latino di Strasburgo, “Argentoratum“, dove il prelato era nato nel 1450: per questo era soprannominato anche “Argentinus” ed “Argentina” la zona circostante, un appellativo tuttora conservato nel largo di Torre Argentina. La torre oggi non è più visibile dall’esterno perché incorporata nell’edificio e ridotta in altezza ma un tempo, cupa e severa, si elevava al di sopra dei tetti senza finestre o al massimo con una feritoia, priva cioè di quegli elementi che tendevano ad ingentilire questo tipo di edifici; inoltre la sommità aggettante, con beccatelli e caditoie, presentava una merlatura, un tetto e su tutti e quattro i lati la scritta “Argentina”, un po’ come oggi possiamo ammirare sulla Tor Millina. Il Burcardo vi si concesse un alto tenore di vita, con molti domestici ed una scuderia ben fornita. Alla sua morte la casa passò al cardinale Giuliano Cesarini, che aveva un’altra casa nelle vicinanze e con il quale il Burcardo aveva anche avuto dei contrasti, come riferisce lui stesso nel suo “Diario”. Il Cesarini collegò le due parti dell’edificio, separate da un cortile, con un corridoio dallo splendido portico. Il fabbricato con il tempo perse la sua bellezza e fu manomesso in diverse parti, finché risultò quanto mai opportuno il restauro del 1931, che salvò in pratica la parte nobile su via del Sudario, mentre la parte su via dei Barbieri, riservata alla servitù, fu demolita. L’edificio si presenta con una facciata liscia intonacata, a due piani con finestre centinate ed una loggia a colonnine. La casa oggi ospita la biblioteca ed il museo teatrale della Società Italiana Autori ed Editori, con oltre 40.000 volumi specializzati, maschere italiane della commedia dell’arte, costumi di attori celebri nonché una caratteristica raccolta di marionette.
Un’altra presenza importante nella via è quella del cinquecentesco palazzo Caffarelli Vidoni, oggi con ingresso principale su Corso Vittorio Emanuele II ma originariamente proprio su via del Sudario, tramite il bel portale (nella foto 4) oggi situato al civico 14. L’edificio presenta un basamento a bugne a cuscinetto in peperino, nel quale si aprono finestre con timpano triangolare e mensole, alternate con porte di botteghe ad arco con bugne a raggiera ed al piano nobile 17 finestre con balaustra intervallate da semi-colonne doriche abbinate. Il secondo piano fu costruito successivamente e consta di un ammezzato posto su un’ampia fascia marcapiano. Il cornicione è su mensole ed ornato da rosoni. Il portale è affiancato da due finestre rettangolari, è sovrastato da uno stemma abraso ed immette nel cortile cinquecentesco, con due ordini di arcate su pilastri e con finestre sull’ordine superiore, nel quale vi sono statue togate, fra cui quella di “Lucio Vero”.