Piazza dei Caprettari prende il nome dai venditori ambulanti di capretti ed abbacchi (il termine romanesco che indica gli agnelli) che qui si stabilirono all’inizio del Seicento: la carne veniva riposta in due grandi ceste sul dorso di una cavalcatura, quasi sempre un asino. La vendita era calmierata, ossia la tariffa era stabilita dalle autorità competenti per impedire prezzi troppo alti, perché va precisato che questa era carne per poveri: la tabella che ne indicava la tariffa veniva quasi sempre appesa all’imbocco di via Monterone. Piazza dei Caprettari, adiacente alla più famosa piazza di S.Eustachio (tanto da sembrare uno slargo unico), originariamente era denominata “piazza Lante“, dall’omonimo palazzo che qui si affaccia (nella foto sotto il titolo). L’origine di questo edificio risale al 1513, quando papa Leone X ne ordinò la costruzione per il fratello Giuliano de’ Medici, nominato Capitano Generale di Santa Romana Chiesa: il palazzo, probabilmente opera di Jacopo Tatti detto “il Sansovino”, sorse su alcune proprietà preesistenti di Alfonsina Orsini, vedova di Pietro de’ Medici e cognata del papa. Ma Giuliano morì nel 1516 senza vederlo ultimato e, incompiuto, divenne proprietà della figlia di Alfonsina, Clarice, moglie di Filippo Strozzi. Nel 1538, ancora incompiuto, fu donato a Marcantonio Palosi, che nel 1558 lo vendette, ancora non terminato, a Ludovico Lante, che s’impegnò a completarne la costruzione.
È quanto si verificò nel 1575 ed il Lante fece incidere il suo nome e cognome latineggianti sull’architrave del portale: “LUDOVICUS LANTES” (nella foto 1). All’inizio del Seicento il cardinale Marcello Lante incaricò Onorio Longhi di eseguire alcuni lavori; vennero anche affrescate varie sale da Giovanni Francesco Romanelli con la “Favola di Marte e Venere”. I Lante acquistarono alcune case adiacenti e, dopo il matrimonio di Marcantonio, figlio di Ludovico, con Lucrezia della Rovere, assunsero il cognome di Lante della Rovere ed ereditarono gli immobili che nel 1628 furono aggiunti al loro palazzo creando così un unico complesso. Nella seconda metà del Settecento fu eseguito un restauro da Carlo Murena per conto del cardinale Federico Marcello Lante. Nel 1873 il grande complesso, alla morte del duca Giulio Lante della Rovere, andò alla figlia Caterina, moglie del duca Pio Grazioli: nel Novecento dai Grazioli fu venduto ai Guglielmi di Vulci e da questi agli Aldobrandini, che tuttora lo posseggono. Oggi il palazzo ospita l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Istituto di Cultura “Pantheon”. L’edificio sviluppa su quattro piani, presentando, nella parte appartenuta ai della Rovere su via Monterone 84, un portale bugnato tra due finestre per lato, anche se poi quelle fiancheggianti il portale sono divenute porte: notare che queste sono sormontate da rami di quercia intrecciati, ovvero lo stemma dei della Rovere. L’altra parte primitiva del palazzo, appartenuta ai Lante e separata dalla prima da una fascia di bugnato a tutt’altezza, si affaccia su Piazza dei Caprettari con un portale architravato (nella foto 1) con la scritta in latino sopra menzionata dedicata a Ludovico Lante ed affiancato da finestre architravate ed inferriate con mensole, al di sotto delle quali si trovano emblemi araldici dei Medici (un leone con anello in bocca e piume di struzzo) e degli Orsini (due rosette).
Tra le due finestre di destra vi è una bella edicola barocca (nella foto 2), con una vistosa cornice a mo’ di raggiera, che si ispira all’episodio narrato nel Vangelo di S.Luca della “Presentazione al Tempio” per il rito della circoncisione: oltre alla “Vergine ed al Bambino” si nota infatti la figura di un sacerdote, con gli abiti ed il copricapo tipici della funzione. Il piano nobile di palazzo Lante è formato da una lunga cornice in travertino sulla quale poggiano sette finestre architravate su mensole, schema ripetuto anche al secondo piano, seppure con finestre più piccole. Armonioso il cortile, opera del Sansovino, al quale si accede da un atrio scandito da tre arcate cieche. Il portico del pianterreno è chiuso su due lati e così pure la loggia del primo piano, chiusa su tre lati; si distinguono però ancora le colonne (visibili sullo sfondo nella foto 1) con capitelli dorici e ionici, secondo alcuni provenienti dal Foro Romano, secondo altri dal Colosseo. Sullo sfondo del cortile, sotto due arcate, si trovavano due fontane simili nella struttura ad esedra, al centro della quale un mascherone versava entro una vasca ovale un grosso getto d’acqua, tale da giustificarne il soprannome di “fontane dell’abbondanza”. Inoltre sui basamenti, oggi vuoti, un tempo si trovavano due gruppi scultorei: uno raffigurava la “Ninfa Ino che allatta Bacco”, l’altro una figura maschile togata insieme ad una donna seminuda.