Piazza Colonna (nella foto sopra) prende il nome dalla presenza della colonna eretta dal Senato e dal Popolo Romano in onore di Marco Aurelio dopo la sua morte avvenuta nel 180 d.C. e prima del 193, come risulta da un’iscrizione. La colonna (nella foto 1), tuttora al suo posto, un tempo sorgeva al centro di un complesso monumentale costituito dal “Tempio di Marco Aurelio” (al posto del quale oggi si trova Palazzo Wedekind), edificato dal figlio e successore Commodo, dall’Ustrinum Antoninorum (edificio per la cremazione, sul quale sorge oggi Palazzo Montecitorio), dal “portico Vipsanio” (dove si trovava il Palazzo della Rinascente, oggi sede di una nota casa di moda) e da altri edifici, i cui resti furono trovati costruendo la “Galleria Colonna” (oggi denominata “Galleria Alberto Sordi“).
La Colonna sorgeva ad un livello più basso dell’attuale di circa 4 metri, tuttora sepolti sotto il piano stradale, ma su una platea più alta di circa 3 metri rispetto al piano stradale della “Via Lata“; l’altezza del fusto è di metri 29,60 (circa 100 piedi) per un’altezza totale odierna (compreso il basamento) di 41,9 metri.
La colonna, di ordine dorico, non è monolitica, bensì composta da 20 rocchi di marmo “lunense” (ovvero di Carrara), posti uno sull’altro ed in seguito scolpiti con un fregio a rilievo (nella foto 2) che rievoca le guerre vittoriose di Marco Aurelio contro i Germani ed i Sarmati. A metà altezza una Vittoria divide le due campagne militari, la prima riferibile agli anni 172-173 e la seconda agli anni 174-175, ed illustrate con una serie di episodi che iniziano, dal basso, con il passaggio dell’esercito romano sopra un ponte sul Danubio. All’interno si trova una scala a chiocciola di 203 gradini che sale, rischiarata da 56 feritoie, fino al terrazzino sopra il capitello dorico. In origine il basamento era decorato da rilievi che raffiguravano, sul lato rivolto verso la “Via Lata“, la sottomissione dei barbari, mentre sugli altri tre lati si trovavano Vittorie con festoni; la sommità della colonna era ornata con la statua in bronzo dorato dell’imperatore, andata perduta nel Medioevo.
Nel corso del radicale restauro di Domenico Fontana, avvenuto nel 1589 per volontà di Papa Sisto V, sulla sommità fu collocata la statua di S.Paolo (nella foto 3), opera di Leonardo da Sarzana e Tommaso Della Porta, mentre sul basamento fu apposta un’iscrizione che attribuisce, erroneamente, il monumento ad Antonino Pio perché in passato si riteneva che questa fosse la Colonna Antonina.
La fontana (nella foto 4) che si trova vicino alla Colonna è alimentata dall’Acqua Vergine e fu commissionata da Papa Gregorio XIII a Giacomo Della Porta. L’architetto pensò originariamente di costruirla accanto alla Colonna e di utilizzare come ornamento la scultura antica di Marforio, oggi conservata in Campidoglio. In realtà, poi, la fontana fu messa ad una certa distanza dalla colonna e fu ornata con quattro piccole cuspidi da cui l’acqua sgorgava e ricadeva in un elegante bacino a due tazze. Nella prima metà dell’Ottocento questi elementi, molto deteriorati, furono sostituiti dagli attuali gruppi con delfini e dal piccolo catino, scolpiti da Achille Stocchi. Come di consueto, vicino alla fontana fu costruito anche un abbeveratoio. La fontana è composta da una grande vasca in marmo di Chio, mentre all’esterno è decorata con sedici fasce verticali in marmo di Carrara che culminano in teste di leone. All’interno affiorano dall’acqua due gruppi di delfini con le code intrecciate, collocati entro una conchiglia aperta ed un catino centrale, sorretto da un balaustro, da cui zampilla l’acqua.
Palazzo Wedekind (nella foto 5), come sopra menzionato, occupa l’area dell’antico Tempio di Marco Aurelio, ma la struttura originaria di questo edificio risale alla seconda metà del Seicento quando fu costruito su alcune case di proprietà dei Soderini, appositamente demolite. Alla fine del Seicento Papa Innocenzo XII fece modificare l’architettura del palazzo donandolo all’Ospizio apostolico di S.Michele: al piano terra furono sistemati gli Uffici dei quattro notai della Camera apostolica e dell’Archivio Urbano, mentre al primo piano si insediarono gli uffici del Monsignore Vicegerente del Vicariato di Roma. Tra il 1809 ed il 1814, durante l’Amministrazione francese, il palazzo ospitò la “Gran Guardia del Comando della Piazza di Roma”, ma al ritorno di Pio VII vi furono insediate la Computisteria Camerale e la Direzione Generale delle Poste Pontificie, che prima si trovava a Palazzo Madama. Occorreva però adattare la struttura dell’edificio alla sua nuova funzione e così Gregorio XVI, ben 20 anni dopo, incaricò Pietro Camporese il Giovane: i lavori furono ultimati nel 1838.
L’elemento più notevole del palazzo è costituito dal lungo portico di dodici colonne ioniche (nella foto 6), undici delle quali provenienti da un edificio di epoca augustea del Municipio romano di Veio, forse la Basilica. Sull’architrave fu posta una lunga iscrizione in latino che così recita: “GREGORIUS XVI PONTIF MAXIM ANNO MDCCCXXXVIII FRONTEM AEDIFICII EXORNANDUM PORTICUM VEIORUM COLUMNIS INSIGNEM ADSTRUENDAM CURAVIT“, ossia “Gregorio XVI Pontefice Massimo nell’anno 1838 fece decorare la facciata dell’edificio aggiungendovi il Portico di Veio famoso per le sue colonne”. Una dodicesima colonna di identica origine venne destinata da Pio IX, nel 1847, ad ornare la piazza davanti alla chiesa di S.Francesco a Ripa. Le quattro colonne che affiancano la porta l’ingresso sono di marmo venato e provengono dalla Basilica di S.Paolo Fuori le Mura. Sopra il portico fu situata una terrazza e, in cima all’edificio, un’iscrizione commemorativa con due orologi ai lati. Le Poste rimasero in questo edificio fino al 1876, tranne un breve periodo, nel 1852, in cui passarono a Palazzo Madama. Quando le Poste furono trasferite a Piazza di S.Silvestro, questo palazzo fu venduto dallo Stato ed acquistato dal banchiere Wedekind che lo fece ristrutturare secondo i progetti dell’ingegnere Giovanni Gargiolli prima e dell’architetto Giovan Battista Giovenale poi. In tale occasione fu modificato anche l’attico, con l’eliminazione dell’iscrizione e dei due orologi, sostituiti da uno solo. Successivamente vi ebbe sede il Circolo Nazionale che si fuse poi con l’Associazione della Stampa: dal 1945 è sede del quotidiano “Il Tempo”.
Sull’altro lato di Piazza Colonna sorge la Galleria Alberto Sordi (nella foto 7), come fu ribattezzata la ex Galleria Colonna dopo la morte del grande attore romano: l’edificio fu costruito sul luogo dove prima sorgeva Palazzo Piombino, costruito per i Giustini Veralli, poi ceduto agli Spada ed infine proprietà di don Ignazio Boncompagni Ludovisi, principe di Piombino. Il palazzo fu demolito nel 1889 per ordine del Comune di Roma, senza un’idea, in verità, circa la sua futura sistemazione, se si pensò persino di portare qui la stazione centrale. Rimase tutto fermo fino al 1891 quando vi fu costruito un Padiglione dell’Allegria per le feste di Carnevale di quell’anno. Nel 1904 il vuoto fu coperto da spalliere e piante, in occasione della visita ufficiale del Presidente della Repubblica francese Émile Loubet. Nel 1911, in occasione dell’Esposizione, l’architetto Marcello Piacentini vi alzò un padiglione provvisorio. Alla fine prevalse l’idea della costruzione di una galleria, caratterizzata da una insolita pianta a Y: l’edificio venne inaugurato nel 1922 ed è opera di Dario Carbone. Preceduta da un porticato, ricalca in scala i modelli di Milano e di Napoli ed è sostanzialmente l’ingresso del palazzo del quale fa parte, proprietà prima della Banca Nazionale di Credito e poi dell’Istituto Romano di Beni Stabili.
Con le spalle alla Galleria Alberto Sordi, la piazza è limitata a sinistra dal Palazzo Ferrajoli, eretto nel Cinquecento, rimodernato probabilmente da Giacomo Della Porta, rifatto nel Seicento da Francesco Peparelli e nuovamente ristrutturato nel secolo successivo. Tra i proprietari succedutisi nel tempo, ricordiamo i del Bufalo (tanto che la piazza fu anche chiamata “dei bufali”), i Niccolini e, nell’Ottocento, i marchesi Ferrajoli. Il cornicione del palazzo è sovrastato da una torre con lo stemma marchionale con corona, elemento che ricorre sopra la bella fontana che adorna il cortile, nella quale vi è la statua di Cerere su una base con protome leonina che getta acqua nella vasca. In alto vi è la scritta: “AEDIUM UTILITATI ET ORNAMENTO“, ossia “Ad utilità ed ornamento della casa”.
Adiacente a Palazzo Ferrajoli vi è la chiesa dei Ss.Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, come fu denominata dopo l’affidamento alla Confraternita dei Bergamaschi, ma è più nota con il nome che aveva precedentemente e che risulta anche dall’altorilievo che sovrasta il portale, ovvero S.Maria della Pietà (nella foto 8). In passato, la chiesa era annessa all’Ospedale dei Pazzerelli, ma quando questo si trasferì alla Lungara, la chiesa fu concessa ai Bergamaschi, che la riedificarono e trasformarono l’antico manicomio (il primo istituito a Roma) in ospedale per infermi della loro nazione.
Piazza Colonna custodisce, sul lato opposto, l’edificio del potere, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri: Palazzo Chigi (nella foto 9). La storia della sua costruzione inizia nel 1578 quando l’avvocato concistoriale Pietro Aldobrandini acquistò una casa dalle eredi del notaio Adriano Tedallini ed affidò all’architetto Matteo Bartolini, con la consulenza di Giacomo Della Porta e Carlo Maderno, il compito di unificare il palazzo con altre costruzioni adiacenti. Nel 1587 Flaminia Aldobrandini, vedova di Pietro, vendette il palazzo al nobile Fabrizio Fossano, la cui vedova, Clarice, lo rivendette nel 1616 al cardinale Pietro Aldobrandini (figlio dell’avvocato Pietro), il quale fece eseguire ampliamenti che vennero completati nel 1618. Nel 1621 Olimpia, sorella ed erede del cardinale Pietro, concesse vita natural durante il palazzo al cardinale Giovan Battista Deti, suo congiunto, a condizione che vi apporti “molte e varie migliorie di notevole valore, specialmente fabbricando l’angolo di detto palazzo che è volto verso Piazza Colonna“. Nel 1630, alla morte del cardinale, come era stato stabilito, il palazzo ritornò ad Olimpia e nel 1637 lo ereditò il figlio, il cardinale Ippolito Aldobrandini, camerlengo di Santa Romana Chiesa. Fu così un’altra Olimpia, la junior, nipote dello zio Ippolito e sposa di Paolo Borghese prima e di Camillo Pamphilj poi, ad entrarne in possesso. Nel 1659 Domenico Chigi, fratello di Papa Alessandro VII, Generale di Santa Romana Chiesa, e don Agostino Chigi, sposo di Virginia Borghese, acquistarono l’edificio. I lavori di ampliamento vennero affidati all’architetto Felice Della Greca, al quale si debbono l’androne porticato, lo scalone su Via del Corso, l’altana verso Montecitorio ed il cortile con la ricchezza dei fregi e degli stucchi. I lavori, dopo la morte del Della Greca, vennero affidati a Giovan Battista Contini al quale si deve l’unificazione definitiva del complesso che assunse in sostanza il monumentale aspetto odierno. Il palazzo spicca per la sua imponente grandezza, con forti bugnature ai lati, balcone ad angolo ed un altro su Via del Corso: la porta-finestra di quest’ultimo ha il timpano spezzato perché vi era lo stemma di Alessandro VII, collocato poi nell’androne. La facciata principale è quella su Via del Corso, ma in realtà il portone è sempre chiuso. Questa facciata presenta, al pianterreno, il portale sovrastato dal balcone tra finestre con davanzali su mensole e sottostanti finestrelle. Al piano nobile le finestre presentano timpani alternativamente curvilinei e triangolari; le finestre del secondo piano, dopo quelle del mezzanino, poggiano su una cornice marcapiano. A coronamento il cornicione con l’attico, eretto poco prima della fine del Seicento. La facciata su Piazza Colonna è abbastanza simile alla precedente, con la finestra centrale che apre su un balcone poggiante sull’architrave del portale, che fu aperto nel 1739, con accesso al grande cortile porticato dove si trova una bella fontana costituita da un mascherone con rami di quercia (appartenenti allo stemma Della Rovere) sormontato dal monte e dalla stella, elementi araldici dei Chigi. Ai lati del portale, le finestre inferriate ed architravate con mensole sottostanti e finestrella. Da questo prospetto si eleva, sopra l’attico, la monumentale altana della fine del Seicento. Il palazzo rimase ai Chigi fino al 1917, anche se fu affittato, dopo il 1870, all’Austria che vi insediò la sua Ambasciata. Nel 1917 Luigi Ludovico Chigi Della Rovere Albani decise di venderlo allo Stato italiano, che lo destinò a sede del Ministero delle Colonie, poi del Ministero degli Esteri e dal 1961 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In questa piazza, il 30 ottobre 1866, fu effettuato il primo esperimento di pubblica illuminazione elettrica, anche se si dovette attendere il luglio del 1912 affinché fosse utilizzato questo tipo di illuminazione in modo definitivo.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza Colonna di G.B.Falda
Colonna Antonina (in realtà Colonna Aureliana) di E.Du Pérac