La costruzione dell’Arco di Settimio Severo risale al 203 d.C., come si ricava dall’iscrizione, per celebrare i primi 10 anni dell’impero di Lucio Settimio Severo. I rilievi, molto erosi, celebrano le vittorie dell’imperatore in Partia (attuali Iraq e Iran) ed in Arabia. Si tratta di un arco a tre fornici, alto metri 20,88, largo 23,27 e profondo 11,20. Ai fornici laterali si accedeva tramite brevi scalinate, mentre il passaggio centrale era forse attraversato da una strada, ora scomparsa, che correva a livello più alto di quella attuale, di età augustea. Entrambi i lati dell’attico (all’interno del quale vi sono quattro vani), riportano la medesima iscrizione con la dedica a Settimio Severo ed a Caracalla: “IMP(ERATORI) CAES(ARI) LVCIO SEPTIMIO M(ARCI) FIL(IO) SEVERO PIO PERTINACI AUG(USTO) PATRI PATRIAE PARTHICO ARABICO ET PARTHICO ADIABENICO PONTIFIC(I) MAXIMO TRIBVNIC(IA) POTEST(ATE) XI IMP(ERATORI) XI CO(N)S(ULI) III PROCO(N)S(ULI) ET IMP(ERATORI) CAES(ARI) M(ARCO) AVRELIO L(UCII) FIL(IO) ANTONINO AVG(USTO) PIO FELICI TRIBVNIC(IA) POTEST(ATE) VI CO(N)S(ULI) PROCO(N)S(ULI) P(ATRI) P(ATRIAE) OPTIMIS FORTISSIMISQVE PRINCIPIBVS OB REM PVBLICAM RESTITVTAM IMPERIVMQUE POPVLI ROMANI PROPAGATVM INSIGNIBVS VIRTVTIBVS EORVM DOMI FORISQVE S(ENATUS) P(OPULUS) Q(UE) R(OMANUS), ovvero “All’Imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, figlio di Marco, Pio, Pertinace, Augusto, Padre della Patria, Partico, Arabico e Partico Adiabenico, Pontefice Massimo, rivestito della Potestà Tribunizia per l’undicesima volta, acclamato Imperatore per l’undicesima volta, Console per la terza volta, Proconsole; e all’Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, figlio di Lucio, Augusto, Pio, Felice, rivestito della Potestà Tribunizia per la sesta volta, Console, Proconsole, Padre della Patria, di ottimi e fortissimi principi, per aver salvato lo Stato e ampliato il dominio del Popolo Romano e per le loro insigni virtù, in patria e all’estero, il Senato e il Popolo Romano”. La quarta riga mostra chiaramente tracce di rielaborazione: si nota infatti che una serie di fori, destinati a sostenere le lettere di bronzo, non coincidono con le lettere attuali. Al posto della scritta “OPTIMIS FORTISSIMISQUE PRINCIPIBUS” (“di ottimi e fortissimi principi”) è stato così possibile leggere “P. Septimio Getae nob. Caesari“, cioè la dedica all’altro figlio di Settimio Severo, Geta: originariamente l’iscrizione, quindi, era dedicata a Settimio ed ai suoi due figli, Caracalla e Geta, ma, dopo la morte di Settimio, Caracalla fece assassinare Geta e cancellare il suo nome da tutti i monumenti pubblici (“damnatio memoriae“, ovvero “condanna della memoria”).
L’arco, di travertino e mattoni, è interamente rivestito di marmo. La superficie è animata da quattro colonne composite per facciata, poggianti su alte basi. La decorazione, ricchissima, comprende: due figure di Marte nelle chiavi del fornice centrale (nella foto 1); sopra l’archivolto “Vittorie con trofei” (anche queste visibili nella foto 1), ai piedi delle quali vi sono le personificazioni delle quattro stagioni; quattro divinità, due maschili e due femminili, nelle chiavi dei fornici minori, anche se solo quella di Ercole è oggi ancora identificabile; divinità fluviali sopra l’archivolto degli stessi archi, al di sopra dei quali corre un piccolo fregio con la rappresentazione del trionfo degli imperatori. Sulle basi delle colonne, sui tre lati liberi, sono raffigurati soldati romani con prigionieri Parti. Ma la parte più importante ed originale della decorazione è costituita da quattro grandiosi pannelli di m 3,92 x 4,72 posti sopra i fornici minori, dove vi sono rappresentati i momenti salienti delle due campagne contro i Parti: sul lato rivolto verso il Foro Romano, a sinistra, l’esercito romano che lascia l’accampamento, una battaglia, un discorso di Settimio Severo alle truppe e la liberazione della città di Nisibis; a destra, l’assedio e la conquista di Edessa, un discorso dell’imperatore all’esercito e la sottomissione del re Agbar e degli Armeni, un consiglio di guerra in un accampamento fortificato e l’imperatore tra il suo stato maggiore.
Sul lato rivolto verso il Campidoglio (nella foto 2), a sinistra, l’attacco alla città di Seleucia e la fuga dei Parti, la resa della città e la sottomissione dei barbari; a destra, l’assedio e la conquista di Ctesifonte, il discorso finale di Settimio Severo alla truppe davanti alla città conquistata. Al di sopra dell’arco, come appare da una moneta del 204 che lo rappresenta, era una quadriga di bronzo con gli imperatori. Durante il Medioevo il fornice centrale, mezzo sepolto ed in rovina, fu utilizzato come negozio di barbiere. Nello stesso periodo era stata addossata all’arco una torre di proprietà dei nobili Bracci o Brachis (tanto che il luogo fu anche denominato “Le Brache”), ma facente parte di quel sistema difensivo realizzato dai Frangipane talmente ricco di torri da far assumere alla zona la denominazione di Campo Torrecchiano. Nel 1803, grazie all’intervento di Pio VII, si provvide al dissotterramento dell’arco, anche se occorreranno diversi anni per vedere completati i lavori di sterro: l’arco fu completamente liberato nel 1898.
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
– Arco di Settimio Severo di G.B.Piranesi
– Arco di Settimio Severo di L.Rossini