La Basilica Emilia, unica superstite delle basiliche repubblicane (la Porcia, la Sempronia e l’Opimia sono totalmente scomparse), fu fondata dai censori del 179 a.C., Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore (quest’ultimo ne curò particolarmente la costruzione tanto che inizialmente fu denominata “basilica Fulvia”). Dopo i vari restauri dovuti ai membri della “gens Aemilia” (nel 78, 54, 34, 14 a.C. e nel 22 d.C., sotto Tiberio), essa assunse poi il nome definitivo di “basilica Aemilia“. Un ultimo restauro si ebbe dopo l’incendio che, dalle monete ritrovate fuse sul pavimento, si può datare all’inizio del V secolo, ricollegabile quindi al sacco di Alarico del 410 d.C. I resti di quell’incendio furono coperti con un pavimento nuovo, posto ad un livello più alto. L’origine di questo tipo di edifici, introdotti in Italia dopo la seconda guerra punica, va ricercata nelle grandi città dell’Oriente ellenistico, confermato anche dal nome di evidente origine greca, che si ricollega con il “portico regio” (stoà basileios) dell’Agorà di Atene. In genere si afferma che la funzione di questi edifici può essere assimilata a quella di una Borsa e di un tribunale insieme: in realtà la basilica a Roma era soltanto un ampio spazio coperto, destinato, nella cattiva stagione, a ricoprire le funzioni che erano proprie del Foro, ospitare cioè i tribunali e tutte le transazioni economiche che in periodi più favorevoli si svolgevano all’aperto. Si trattava di coprire il più ampio spazio possibile tramite file di colonne o pilastri destinati a sostenere la copertura, che creavano così una serie di navate.
La necessità dell’illuminazione era risolta innalzando di un piano la navata centrale rispetto alle laterali, ciò che permetteva l’apertura di ampie finestre nella parte superiore. La Basilica Emilia, fin dall’inizio, rispecchiò questo schema, come risulta da un saggio di scavo (sul lato occidentale) che mise in luce una parte dell’edificio più antico: si constatò, così, che la pianta non fu modificata dai restauri successivi. Unica differenza di rilievo, rispetto allo schema in precedenza descritto, è la presenza, sul lato nord, di due navate minori invece di una, il che sottolinea la volontà dei costruttori di sfruttare al massimo lo spazio a disposizione. La Basilica Emilia era preceduta a sud, verso la piazza, da una facciata a due ordini sovrapposti di 16 arcate su pilastri con semicolonne. Dopo l’incendio del 410, il portico fu sostituito da un colonnato più fitto: tre di queste colonne di granito, poggianti su basi di marmo bianco, sono state rialzate dopo lo scavo (visibili nella foto in alto sotto il titolo). Il portico potrebbe essere identificato con il “Portico di Gaio e Lucio”, dedicato da Augusto ai due omonimi nipoti e figli adottivi, anche in virtù della grande iscrizione con dedica a Lucio Cesare, principe della gioventù (come si legge sull’iscrizione nella foto 1): “L CAESARI AUGUSTI F DIVIN PRINCIPI IUVENTUTIS COS DESIG CUM ESSET ANN NAT XIIII AUG SENATUS“.
Al portico faceva seguito una serie di ambienti, conosciuti come Tabernae Novae (nella foto 2) in opera quadrata di tufo, ricostruzione imperiale di quelle tabernae argentariae, destinate ai banchieri, dietro alle quali la basilica repubblicana era sorta.
Tre ingressi ad arco conducevano all’interno della grande aula (nella foto 3) di circa m 90 x 29, divisa in quattro navate da tre file di colonne di marmo detto “africano” (anche se originario dell’Asia Minore), che appartengono, come anche il pavimento ed altri frammenti architettonici marmorei sparsi in giro, al restauro augusteo. La navata centrale, in conformità a quanto esposto precedentemente, era molto più ampia delle altre e sopraelevata, per consentire la costruzione di grandi finestre per l’illuminazione dell’interno.
Verso nord-est è esposto il calco (l’originale è conservato nell’Antiquarium) di un breve tratto del fregio marmoreo a rilievo che ornava l’architrave della navata centrale, con soggetti relativi all’origine di Roma, attribuibile al restauro cesariano della basilica: vi si possono riconoscere l’episodio di Tarpea, la costruzione delle mura di Lavinio ed il Ratto delle Sabine (nella foto 4). Sul lato ovest, sotto una tettoia, ed a un livello più basso, si possono ancora vedere i resti della basilica antica, in opera quadrata di tufo di Grotta Oscura.