Villa Pamphilj si estende al di fuori delle Mura Aureliane, in prossimità di Porta S.Pancrazio, ed è racchiusa, a forma di triangolo, tra Via Aurelia Antica, Via della Nocetta, Via Vitellia e Via di S.Pancrazio. Un terreno composto da una vigna con canneto e da un casale rustico, di proprietà di Giacomo Rotolo, fu acquistato nel 1630 da Pamphilio Pamphilj, che diede così inizio alla proprietà che avrebbe raggiunto, con i suoi 46 atti di acquisto stipulati fino all’Ottocento, l’estensione di circa 184 ettari.
La cosiddetta Villa Vecchia (nella foto 1), o Casino della famiglia, posta a ridosso dell’antico Acquedotto Traiano, con ingresso in Via Aurelia Antica 183, faceva già parte, nella sua struttura originaria, della vigna acquistata da Pamphilio e fu usualmente abitata dai Pamphilj. Nella parte più antica è costituita da un fabbricato costruito sull’acquedotto e composto da due bracci che racchiudono una sorta di cortile, dove era l’ingresso. L’assetto dell’edificio, che all’interno apriva su cinque stanze situate lungo l’acquedotto e quindi un atrio ed una scala che portava ad altre stanze parallele alle prime, fu cambiato tra la fine del Seicento ed i primi del Settecento, con l’attuazione di un percorso d’onore ancora esistente con l’ingresso, le scale e, sopra l’acquedotto, il corridoio: tutta questa parte fu decorata a stucchi con la colomba ed il giglio, simboli araldici dei Pamphilj, al centro delle volte. Allorché il Cardinale Giambattista Pamphilj, fratello di Pamphilio, nel 1644 salì al soglio pontificio con il nome di Innocenzo X, la proprietà fu oggetto di rinnovamento e di radicali trasformazioni. Come prima iniziativa vi fu la costruzione di un Casino separato dal casale già esistente, da allora denominato Villa Vecchia, con il preciso scopo di offrire una degna cornice alle manifestazioni ufficiali che il pontefice intendeva svolgervi. Autori di questi importanti lavori di ampliamento e di edificazione furono lo scultore Alessandro Algardi, il pittore Giovanni Francesco Grimaldi ed il botanico Tobia Aldini. Ruolo di primo piano ebbe in questi lavori il committente, Camillo Pamphilj, già cardinale prima della sua rinunzia al porporato ed al matrimonio con Olimpia Aldobrandini. La realizzazione di lavori di tale maestosità ad opera di uno scultore e di un pittore con scarse conoscenze di architettura sembra davvero strano, ma occorre rammentare che il progetto del Casino giunse nelle loro mani dopo ben 3 fasi creative. La prima fu quella legata al fantastico progetto ideato dal binomio Spada-Borromini, dal gusto fortemente classicheggiante, la seconda fu quella di Girolamo Rainaldi, con un progetto di un palazzetto così come appare oggi, ma arricchito con ali laterali: entrambi non riscontrarono però i favori del proprietario, che si rivolse infine proprio all’Algardi. I gusti di Camillo Pamphilj propendevano verso la moda dei tempi, ovvero un Casino dove fosse esibito, con ostentazione, tutto lo sfarzo di una famiglia importante e di una collezione di antichità, seguendo gli esempi dei Medici, dei Mattei o dei Borghese. È probabile allora che l’Algardi si sia trovato fortemente imbarazzato da tale richiesta e, pur di non rifiutare l’incarico, abbia ripiegato su quanto progettato dal suo precedessore, con l’esclusione delle ali laterali del Casino (ovvero proprio quelle che non avevano riscontrato il favore del principe).
Il Palazzo delle Statue, o Casino del Bel Respiro (nella foto in alto sotto il titolo e nella foto 2), fu costruito come edificio di rappresentanza e di collezioni artistiche in un complesso lavoro di giardinaggio e terrazzamenti; i lavori iniziarono nel 1644 e si conclusero nel 1652. Il progetto, come detto, fu di Alessandro Algardi, ma l’esecuzione fu opera di Giovanni Francesco Grimaldi. Nel progetto del Rainaldi la palazzina aveva due ali laterali arretrate rispetto alla facciata e l’edificio avrebbe dominato ancora di più con un particolare verticalismo sui Giardini Segreti e sul Giardino del Teatro. Fu invece preferito l’assetto che presenta oggi, apparentemente incompiuto, ma valorizzato dall’inserimento nella facciata dei numerosi marmi integrati da restauri seicenteschi e per valorizzare le sculture, costituite da una serie di busti di imperatori romani, si disposero i pezzi di maggior dimensione in alto in larghe zone di muro cieche. In pianta l’edificio segue uno schema palladiano: al centro della costruzione vi è un grande salone circolare a cupola che riceve luce dall’alto e comprende due piani, su cui gravitano le altre stanze; tra queste vi sono la cappella ed il piccolo ambiente di pianta ellittica delle scale. L’accesso avviene dalla facciata nord, attraverso un piccolo atrio. Come l’esterno, anche l’interno è ben decorato con l’inserzione di statue entro nicchie e pezzi antichi, stucchi nelle sopra-porte, festoni e targhe sui parapetti delle finestre. Nel piano sottostante, che affaccia sul giardino a parterre, si ripete la sala circolare che qui riceve luce dall’atrio, dalle stanze laterali e da lustriere a bocca di lupo nella volta. La parete è percorsa da doppie lesene intervallate da bassorilievi e da nicchie con statue antiche; nella cupola gli stucchi formano i raggi ed i cerchi di una rete geometrica con centro nello stemma, legata alle sottostanti lesene, e che inserisce medaglioni a bassissimo rilievo; le fasce pavimentali sono la proiezione sul piano delle spartizioni della cupola. Il Casino del Bel Respiro, attualmente sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fu ristrutturato all’interno proprio per la nuova funzione; gli Arredamenti Fiorentini realizzarono la sala destinata alle riunioni internazionali con razionale modernità, ma anche con eleganza, in sintonia con le strutture seicentesche dell’edificio. Nonostante la sua destinazione, il Casino oggi appare del tutto spoglio e privato delle decorazioni a stucco seicentesche al piano nobile, sostituite con altre moderne e del tutto anonime; tutte le statue, i busti ed i bassorilievi che arredavano il pianterreno ed il piano nobile furono trasferiti a Palazzo Doria Pamphilj al Corso, in epoca posteriore al 1799. L’ingente collezione di quadri fu trasferita probabilmente quando fu creata la galleria del Palazzo al Corso, la cui costruzione venne iniziata nel 1731 dall’architetto Gabriele Valvassori. L’unica sala che ha conservato l’arredo originario è la Sala Rotonda del pianterreno, le cui preziose nicchie a conchiglia sono adorne di cinque statue antiche integrate quasi tutte dagli assistenti dell’Algardi. Gli stessi architetti della palazzina progettarono anche la sistemazione dei giardini: il prospetto principale del Casino si apriva sul piazzale guarnito con spalliere di cipresso tra cui si ergevano le statue di marmo ed i busti dei 12 Cesari. Da questo piazzale nasce un ampio viale che conduce al confine della proprietà sulla Via Aurelia Antica dove è situato un altro piazzale dal quale si gode un superbo panorama della Cupola di S.Pietro. Il prospetto posteriore (nella foto 2) acquistò nel dislivello un piano in più, affacciandosi sui Giardini Segreti sottostanti (visibili nella foto in alto sotto il titolo), a forma rettangolare, con una fontana centrale rotonda fiancheggiata da due peschiere e con la balaustrata corredata in tutto il suo perimetro da vasi di agrumi. La fontana, conosciuta come Fontana dell’Annunziata (visibile nella foto 2), è costituita da un’ampia vasca in marmo fatta costruire intorno al 1850 da Lady Mary Talbot, moglie di Andrea Doria Pamphilj, ed è così denominata perché al centro si innalza la copia bronzea dell’opera realizzata nel 1629 da Pietro Tacca per la Piazza della Ss.Annunziata di Firenze. Otto aiuole regolari, disposte tra la fontana centrale e gli specchi d’acqua, creano una nota di colore con le fioriture che formano un grazioso disegno da ammirarsi dal Casino e dalla terrazza superiore. Dopo aver esaminato le due residenze nobiliari, iniziamo ora un tour di Villa Pamphilj: dai Giardini Segreti si scende, tramite due rampe, al sottostante Giardino del Teatro.
Al centro del muro esterno di sostruzione dei Giardini Segreti si apre la Fontana di Venere (nella foto 3), progettata dall’Algardi e così chiamata dalla statua che si ergeva in piedi su una conchiglia, trainata da delfini che mandavano getti d’acqua in uno specchio d’acqua sottostante.
L’opera venne realizzata da Angelo Peruzzi, mentre la parte in mosaico e stucco si deve a Giovanni Battista Ferrabosco; la statua originale, opera dello stesso Algardi, venne sostituita nel 1709 da una statua di Venere che si trovava all’interno del Casino. Ai lati si aprono due nicchie adorne di altrettante statue raffiguranti Flora ed un Sileno ed anche queste, come Venere, sono copie. Le due statue esterne sono acefale, mentre Venere (nella foto 4) è priva della parte superiore del corpo.
Il Giardino del Teatro prende il nome dalla grande esedra (nella foto 5) semicircolare in muratura destinata ad ospitare rappresentazioni teatrali e musicali all’aperto. L’esedra si presenta finemente ritmata da paraste in cotto, alternate da nicchie per statue (oggi scomparse), per giochi d’acqua e da 10 rilievi in marmo inseriti in riquadri di mattoni, disposti come cornici intorno ai quadri di pietra, in una sorta di galleria all’aperto, sormontati da 10 busti all’interno di ovati; la balaustrata di coronamento un tempo era coronata da statue, poi sostituite da vasi dopo il 1849. Nel 1758 al centro dell’esedra fu realizzata da Francesco Nicoletti la cosiddetta Stanza dell’Organo, modificando un ambiente preesistente che accoglieva una scultura raffigurante Pan ed un organo idraulico: purtroppo gli scontri tra garibaldini e francesi del 1849 distrussero anche questa meraviglia.
L’esedra è affiancata dal Ninfeo dei Tritoni o del Satiro (nella foto 6), un antro scavato nel terreno, decorato con finte stalattiti, due statue di sirene e due di fauni, immersi nell’acqua. Il Ninfeo si apre con tre arcate su di un invaso antistante, già costituente un laghetto, trasformato dopo il 1849 in un parterre fiancheggiato da due vasche laterali; l’arco centrale d’ingresso all’antro è decorato con due telamoni.
Al centro del Giardino del Teatro, nel piazzale antistante l’esedra, è situata la Fontana di Cupido (nella foto 7), probabilmente realizzata nel 1855 da Andrea Busiri Vici utilizzando elementi preesistenti. La fontana prende il nome dal Cupido che vi sorgeva al centro, del quale oggi rimangono solo i piedi sul basamento a parallelepipedo poggiante su un’ampia tazza circolare, con i bordi lievemente ondulati e decorata, esternamente, da ghirlande. La tazza è sorretta da quattro pilastrini sul cui fronte esterno sono addossati due fauni maschi e due femmine, alternati. Sotto la tazza, al centro, si trova un’importante rocaille. Questa base si alza al centro di un altro bacino circolare, costituito da un muretto a mattoni rifinito da un bordo in pietra, ornato con 12 pilastrini rettangolari, superiormente decorati con il giglio, emblema dei Pamphilj. Sulla faccia anteriore e sulle due laterali i pilastrini sono decorati con mascheroni a rilievo dalla bocca dei quali esce l’acqua, che si raccoglie prima in una valva di conchiglia, per poi scendere nel bacino sottostante. La fontana, parzialmente restaurata, è protetta da una bassa ringhiera in ferro. Tra il giardino di “rappresentanza” che circondava il Casino e l’antica residenza della famiglia Pamphilj, ossia la Villa Vecchia, vi era un’area boschiva che comprendeva un prato rettangolare di notevoli dimensioni, destinato a tornei e giochi.
Avvicinandosi all’abitazione predominavano le coltivazioni fruttifere, come il ricco aranceto nel mezzo del quale era stata collocata la Fontana della Lumaca (nella foto 8), eseguita dal Bernini per Piazza Navona ma che, giudicata da Innocenzo X troppo modesta per quel luogo, fu regalata alla cognata, la celebre Olimpia Maidalchini (conosciuta anche come Donna Olimpia o la Pimpaccia), che la destinò alla villa. La fontana, attribuita all’Algardi ed eseguita dall’intagliatore Vannella, consiste in un bacino esterno, circolare, quasi a livello del terreno, sul cui bordo vi è una protezione in ferro. Al centro, su una tazza a forma di quadrato quadrilobato, si innalza una coppa circolare sulla quale si ergono tre delfini che sostengono una conchiglia. L’originale berniniano è stato sostituito da un copia nel corso del XIX secolo.
A breve distanza, sulla terrazza a monte della Fontana della Cascata, è collocata la Fontana del Giglio (nella foto 9), circondata da una balaustra in ferro intervallata da pilastrini in muratura, su ciascuno dei quali una volta si ergeva una statua. Lo spiazzo circolare è ornato con una bassa esedra semicircolare in pietra, interrotta al centro, in asse con la fontana, che funge da sedile con spalliera. La fontana è costituita da un ampio bacino in marmo, poco elevato dal terreno, con il bordo arrotondato e protetto da una ringhiera in ferro. Al centro, su un piedistallo circolare leggermente convesso, si innalza un articolato giglio, emblema della famiglia Pamphilj, con due grandi petali aperti posti a circa metà della sua altezza. Nella parte più alta si eleva lo zampillo d’acqua che riempie i due petali e poi trabocca nel bacino inferiore.
Al di sotto del muro di sostruzione del terrapieno è situata la Fontana della Cascata (nella foto 10), costituita da un articolato complesso di bacini, collegati tra loro, che sfociano in un laghetto. Il percorso inizia con una esedra che si articola in tre nicchie per lato (un tempo contenenti statue) intervallate da lesene e pilastrini in rozza pietra. Da una rocaille al centro dell’esedra fuoriesce l’acqua che si raccoglie in un bacino dal quale poi scende in un altro formando una prima cascata su muri di finte rocce. Un ulteriore dislivello è determinato da un muro articolato in pietra molto rifinito e con bordo superiore arrotondato. Da questo bacino l’acqua si allarga in un ampio lago detto “del Giglio” dall’omonima fontana che orna la terrazza. Nei pressi di Villa Vecchia troviamo il Giardino dei Cedrati, così chiamato per la presenza di numerose piante di agrumi: già indicato nelle piante seicentesche della Villa come luogo destinato alla coltivazione dei melangoli, il Giardino, dedicato alla dea Venere, venne integralmente ristrutturato da Gabriele Valvassori nel XVIII secolo, con la realizzazione di “cocchi”, vialetti, fontane ed eleganti murature perimetrali decorate da cancellate in ferro battuto.
Sul piazzale antistante la Villa Vecchia troviamo anche la Fontana del Tevere (nella foto 11), costituita da un bacino di forma mistilinea, addossato ad un muretto perpendicolare al muro esterno della villa e collocato su un basamento al quale si accede attraverso due gradini posti anteriormente. Il muretto è a rocaille poco rilevate ed è ornato nel bordo superiore da un piano in pietra che, ai due estremi, si incurva per terminare con due pilastrini sormontati da una piccola sfera. Al centro è collocata la divinità fluviale, in peperino, scolpita nel classico atteggiamento semisdraiato.
Nei pressi è situata anche la Fontana del Mascherone (nella foto 12), costituita da un muretto rettangolare sulla sommità del quale è situato un “occhio”, un tempo forse contenete un busto. Nella parte inferiore vi sono due volute laterali ornate, nella parte alta, da due piccoli mascheroni. La parte anteriore è lavorata a rocce e presenta un mascherone dalla cui bocca fuoriesce l’acqua che si raccorda in una vasca trilobata che a sua volta si erge da un bacino appena rialzato dal terreno. Due piccoli delfini, posti simmetricamente ai lati del mascherone, completano la decorazione. Infine troviamo, presso il muro che costituisce il limite verso Via Aurelia Antica, la Fontana dell’Arco, così denominata perché costituita da un fantasioso arco trionfale. Sopra i due pilastri laterali sono collocate due sfere mentre al centro vi è il giglio dei Pamphilj. L’arco poggia su una rocaille alla cui base è il bacino di raccolta dell’acqua, a livello del terreno, protetta da una ringhiera a rami di legno. Un tempo l’acqua scendeva dalla bocca di un mascherone posto nella parte alta dell’arco per poi raccogliersi in una vaschetta sottostante per poi traboccare nel bacino a fior di terra. Oggi la fontana è alimentata da un tubo che fuoriesce dal muro di confine della villa. Quando Anna Pamphilj, pronipote di Innocenzo X, andò in sposa a Giovanni Andrea III Doria Landi, la discendenza dei Pamphilj, estintasi col principe Girolamo, passò ai Doria: fu in questa occasione che lo stemma pamphiliano con la colomba ed i gigli si unì all’aquila dei Doria. La trasformazione radicale di Villa Pamphilj si ebbe nell’Ottocento grazie al Principe Filippo Andrea V Doria Pamphilj Landi che nell’arco di un decennio quasi ne raddoppiò l’estensione. La prima acquisizione risale al 13 marzo 1847 e fu la tenuta di Giovio, un complesso costituito da una vigna di circa 39 pezze (la pezza era un’unità di misura di superficie in uso a Roma e nel Lazio prima dell’adozione del sistema metrico decimale equivalente a circa 2640,62 metri quadrati) oltre ad un edificio che attesta una continuità d’uso dall’età tardo-repubblicana all’Ottocento, inglobante la Torre Rossa, da cui il vocabolo dell’area. Il 7 maggio 1850 il principe acquistò la tenuta Fiocchi Nicolai, nell’area de “La Nocetta”, di 31 pezze. Nel 1851 gli acquisti si intensificarono: il 21 febbraio venne comprata una vigna di 11 pezze in vocabolo “Bravetta alla scesa della Vecchia nel Vicolo della Nocetta“, di Teodoro Rinchioni; il 7 giugno cinque vigne riunite di 61 pezze del cavaliere Pietro Ercole Visconti, nell’area della Nocetta; il 19 dicembre due vigne con canneto di 18 pezze di Natale Olivieri, ancora nella zona della Nocetta; il 20 dicembre una vigna di 12 pezze a Bravetta, di Bianchi e Mangini. Nei due anni successivi la proprietà si estese sempre ad ovest: il 1° aprile 1852 venne annessa una vigna di 16 pezze in vocabolo Torre Rossa, dell’Ospedale Grande di Piacenza; il 18 novembre 1853 fu acquistata dagli eredi di Marino Balzarini una vigna, con terreno e canneto, di 13 pezze in contrada “La Tedesca”, località Fontanile Arenato, lungo la Via Aurelia Antica. La Villa Giraud, già Valentini (oggi più conosciuta come Villa del Vascello), venne posta in vendita all’asta pubblica il 15 marzo 1854 dal Tribunale, per il pagamento dei debiti contratti da Erminia Giraud e dai suoi predecessori: Filippo Andrea V se ne assicurò la proprietà e ne entrò in possesso il 17 marzo 1854. Si trattò del primo ed unico tentativo di ampliare Villa Pamphilj oltre la Via Aurelia Antica, con il chiaro intento di unirla alla Villa Corsini in una estesissima e continua proprietà fuori Porta S.Pancrazio, anche se pochi anni dopo, nel 1860, la Villa fu rivenduta al Conte De Angelis. Nel frattempo il 19 novembre 1855 il Principe Pamphilj si era assicurato una riserva di 40 pezze dei fratelli Floridi, sempre ad occidente lungo la Via Aurelia Antica, e soprattutto il 6 maggio 1856 aveva finalmente potuto acquistare la Villa Corsini, alla quale si aggiunse il dono del 18 maggio 1857 della Magistratura Romana di un terreno di metri 272 limitrofo alla Villa Corsini. La grande impresa si era così compiuta: il Principe Doria Pamphilj Landi possedeva una delle più grandi tenute fuori la cinta aureliana, a ridosso del Vaticano, verso il mare. L’acquisto della Villa Corsini rappresentò per il Principe Filippo Andrea V la conclusione eccellente di un programma ambizioso di ampliamento della tenuta, da molti anni intrapreso, dotandola di un ingresso adeguato in prossimità della Porta S. Pancrazio, che sostituì quello molto più modesto lungo la Via Aurelia Antica. I danni subiti dal Casino dei Quattro Venti (ovvero la palazzina di Villa Corsini) in seguito ai combattimenti tra le truppe francesi ed i difensori della Repubblica Romana del 1849 durante l’assedio di Roma resero necessaria la sua demolizione e sulle sue vestigia l’architetto Andrea Busiri Vici edificò nel 1859 un arco maestoso con quattro statue allegoriche.
L’arco (nella foto 13) è completato da due avancorpi a pianta quadrangolare, destinati a sostenere gruppi scultorei mai realizzati, disegnati e proposti nuovamente dal Busiri al Principe Giovanni Andrea nel 1886 ma senza esito. Le due cancellate a chiusura dell’arco, opera del fabbro Tommaso de Santis su disegno del Busiri, furono messe in opera nel 1860, quando furono scolpite e sistemate sui quattro angoli della sommità dell’arco le quattro “figure colossali in pietra calcarea“, raffiguranti i “Quattro Venti“, opera dello scultore Luigi Roversi. Nel 1861 furono sistemate dallo scalpellino Vincenzo Ricci le altre decorazioni, tra cui “8 busti di marmo e 5 sarcofagi“. Sull’arco e sugli avancorpi alterali sono incise alcune epigrafi che siglano l’intera operazione: “Phil(ilippus) And(drea) ab auria Pamphilius ampliori c(irc)uitu aditum fecit a(nno) D(omini) MDCCCLIX coempta villa quam superioris belli furore subversam restituit ornavit ad suburbani amoenitatem“; all’interno di un vano vi è un’altra epigrafe che ricorda i combattimenti del 1849.
Tra il 1866 ed il 1869 anche il Villino Corsini (nella foto 14) venne restaurato da Andrea Busiri Vici, il quale provvide prima al consolidamento statico, quindi si occupò della ristrutturazione, modificando la facciata e l’accesso dal parco. La scala interna ebbe un diverso orientamento e fu mutata la distribuzione dei vani. Furono aggiunti due torrini “per i cessi e per le scale della terrazza“, mentre il prospetto verso il parco, intonacato a finta cortina, risultava scandito da bugne e lesene in “pietra arenaria di Malta” verticali, da cornici marcapiano orizzontali, da un balcone centrale e da semplici cornici alle finestre tutte uguali. Il rinnovamento si estese anche al parco, con un grande viale curvilineo che parte dall’Arco dei Quattro Venti e conduce al Viale del Maglio, accompagnando la collinetta con pineta dove sorge il Villino. Nel 1876 proseguirono gli interventi sulla palazzina, con la trasformazione dell’attico in un terzo piano, sistemato definitivamente nel 1894. Tra il 1916 ed il 1932 il Villino fu dato in affitto alla principessa Marija Pavlovna Demidova Abamelek Lazarev, come residenza per gli ospiti della vicina Villa Abamelek, alla quale fu collegato da un grande arco che scavalcava la Via Aurelia Antica, costruito nel 1915-16 e demolito in parte nel 1932 e definitivamente nel 1952. Restaurato per il Giubileo del 2000, il Villino ospita oggi la “Casa dei Teatri”, con un interessante patrimonio costituito da libri, riviste, video e cd-rom e dal Fondo Giancarlo Sbragia, con una ricchissima collezione di libri, periodici, libretti d’opera, programmi di sala, copioni, comprendente 12.000 manifesti e locandine a testimonianza dell’attività di numerose compagnie teatrali, 2.500 tra copioni e programmi di sala, riviste specializzate e più di 7.000 libri, alcuni dei quali con dediche autografe. La presenza di collezioni speciali originali e di spazi per mostre, incontri e proiezioni nel Villino, fanno della “Casa dei Teatri” una struttura unica nel panorama romano, un luogo di incontro ed elaborazione, anche per giovani artisti. Tra le costruzioni più recenti di Villa Pamphilj vi è la Cappella Pamphilj, che venne costruita nel 1902 al posto della Fontana dei Delfini, al termine del Viale del Maglio: con uno stile medio-rinascimentale, secondo un progetto di Odoardo Collamarini, la Cappella è tuttora proprietà privata dei Doria Pamphilj. Il giardino fu trasformato quasi completamente in un parco all’inglese, forse per desiderio di Lady Mary Talbot che sposò nel 1839 Filippo Andrea V Doria Pamphilj. La politica conservatrice del Principe Filippo Andrea V lo indusse ad esigere un monumento ai caduti francesi nei combattimenti, ignorando i rivoluzionari italiani caduti nell’assedio. Nel 1851 fu incaricato l’architetto Andrea Busiri Vici di erigere il monumento con un’epigrafe dedicatoria, collocato in prossimità delle serre. Villa Pamphilj, oggi tagliata in due dalla Via Olimpica, fu acquistata in gran parte dallo Stato Italiano nel 1957, mentre oltre 168 ettari furono acquisiti dalla municipalità romana; la parte occidentale nel 1965, la restante nel 1971, con apertura al pubblico nel 1972.