Storia delle Monete di Roma

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Affresco con scena di coniazione – Casa dei Vettii, Pompei

La prima e più importante unità di misura nel baratto dell’antica Roma fu il “pecus“, una “bestia di piccola taglia”, un termine conservatosi anche dopo il passaggio all’economia monetaria nella denominazione “pecunia“, ovvero “denaro”. Le prime monete romane si ebbero soltanto nella seconda fase della Repubblica: la prima moneta fu l’asse, ovvero “l’aes rude“, un pezzo di bronzo di peso standard, al quale seguirono “l’aes grave“, una barra di bronzo senza segni distintivi, e “l’aes signatum“, attribuito a Servio Tullio, una barra di bronzo ferroso (che contenevano cioè circa il 20% di ferro) con un’impronta simile ad un ramo secco stilizzato. Ovviamente l’inconveniente principale di questa forma di pagamento consisteva nella necessità di pesare il quantitativo di bronzo da utilizzare per ogni scambio. Il trattato di alleanza con i Campani (326 a.C.) lasciò un segno anche nella monetazione: la zecca (dalla parola araba “sikka”, cioè “conio”) di Napoli produsse per gli alleati una moneta simile alla propria (la “didracma”), chiamata “Rhomaion” (cioè dei Romani, in greco). Nel 289 a.C. furono creati i “triumviri monetali” (ovvero i “magistrati predisposti alla monetazione”) e la zecca fu posta vicino al tempio di Giunone Moneta (cioè “ammonitrice”): questo è il motivo per cui la zecca in latino si dice “moneta” ed ancora oggi chiamiamo il denaro “moneta”. La zecca coniò quindi la sua prima moneta chiamata “quadrigato”, così denominata per la presenza sul retro di Giove su una quadriga guidata dalla Vittoria, mentre l’altro lato rappresentava una testa bifronte laureata. La moneta che divenne la base dell’economia romana fu coniata in un periodo compreso tra il 264 ed il 202 a.C., ovvero tra le due guerre puniche: il “denario” d’argento, un termine derivante da “deni“, ossia “per dieci” (assi), identificato dal numero romano “X“. Il “denario” pesava inizialmente poco più di 4 grammi e valeva dieci assi di bronzo: le prime monete raffiguravano da un lato la testa di Roma con un elmo alato e dall’altro i Dioscuri a cavallo con la scritta ROMA. In seguito le immagini utilizzate furono quelle di antenati o di vecchie glorie familiari dei magistrati, incaricati di sovrintendere alla coniazione del denaro. I pochi centimetri quadrati della moneta divennero infatti un potente mezzo di propaganda politica, utile per ricordare agli elettori i meriti, le gesta e le qualità della propria “gens“. Il “denario” aveva anche sottomultipli: il “quinario” (equivalente a cinque assi) identificato dal numero romano “V“, ed il “sesterzio” (due assi e mezzo), identificato dalla marca “IIS” ed in seguito “HS“. Probabilmente fino al III sec. d.C. la moneta più diffusa nel mondo romano fu proprio il “sesterzio” (prima in argento poi in bronzo), divenuto oramai per antonomasia “la moneta romana”, il cui valore era abbastanza basso per non aver bisogno di sottomultipli, ma anche abbastanza elevato da rivelarsi comodo nelle valutazioni dei cambi correnti. A questi sottomultipli si aggiunsero anche sottomultipli di bronzo, probabilmente le monete che più circolavano nelle mani del popolo. In seguito alle grandi conquiste romane cominciarono ad affluire in città grosse quantità di argento e si coniò una nuova moneta, il “vittoriato” (pari a tre quarti di denario), così denominato per la presenza sul retro della Vittoria che incorona un trofeo d’armi, mentre le monete di bronzo pian piano divennero sempre meno usuali. Anche lo stipendio militare era pagato in monete d’argento. L’affermazione del “denario” accompagnò le azioni militari romane al punto da divenire quasi l’unica moneta circolante nel Mediterraneo. Commercianti greci, romani e italici compravano e vendevano a suon di “denari”. Il “denario” resterà alla base della monetazione romana fino alla metà del III secolo d.C., quando fu sostituito dall’antoniniano, e la sua importanza è testimoniata dal termine “denaro” che tuttora noi utilizziamo. Le emissioni auree furono assai rare durante la Repubblica: i primi “aurei” del sistema monetario romano si ebbero con Silla nell’87 a.C., con un peso di 1/30 di libbra (ricordiamo che la libbra erano 272 grammi). La prima riforma monetaria dell’Impero Romano si ebbe sotto Augusto, nel 15 a.C., quando il “denarius aureus” si stabilizzò su 1/42 di libbra e la coniazione delle monete d’oro e d’argento passò sotto il controllo diretto dell’imperatore (evidenziate dalle scritta “P” “M“, ovvero “Procurator Monetae“), lasciando ai senatori il controllo su quelle in bronzo, utilizzate dal popolo e di minore importanza, evidenziate dalla sigla “S” “C” (ovvero “Senatus Consulto“). La riforma monetaria neroniana diminuì il peso degli “aurei” e dei “denari” d’argento, che passarono rispettivamente da 7,70 g a 7,30 g e da 3,70 g a 3,25 g., riforma poi annullata da Domiziano che riportò i valori delle monete a quelli augustei. I vari alleggerimenti nel peso del metallo non toccavano però il potere nominale di scambio, che rimaneva invariato, e così il valore reale delle monete si faceva minimo rispetto a quello nominale, avviandosi in pratica ad acquistare soprattutto un valore convenzionale o legale attribuito in forza di legge; questo fu il primo clamoroso esempio di svalutazione monetaria che si sarebbe ripetuto poi molte altre volte nel corso della storia romana. Traiano, a sua volta, tornò al sistema monetario neroniano finché nel 215, con l’imperatore Caracalla, si ebbe un’altra riforma: venne svalutato l’aureo, per contrastare la grande svalutazione del “denario”, che durante gli imperi precedenti si era ridotto di circa il 50% d’argento, e vennero introdotte monete con valore doppio: il “binione” (un doppio aureo) e “l’antoniniano” (un doppio denario). Il sistema monetario subì un’altra riforma con Aureliano, tra il 272 ed il 275, il quale provvide anche a riformare la complessa organizzazione delle zecche situate nelle varie province dell’impero: fu così che si iniziò a riportare sulle monete anche l’indicazione della zecca di provenienza. Per quanto riguarda “l’antoniniano” venne definito un peso di 3,90 g ed un rapporto di 20 parti di rame ed uno d’argento, indicato sulle monete con il simbolo “XXI” in latino o “KA” in greco: queste monete sono chiamate anche “aureliani”. Con la riforma di Diocleziano del 295 la monetazione romana cambiò radicalmente: l’adozione della tetrarchia come forma di governo, con l’impero suddiviso in due territori assegnati a due Imperatori affiancati da due Cesari, fece sì che le monete non rappresentarono più un singolo imperatore, ma sul diritto ne riportarono l’immagine idealizzata, con il rovescio che tipicamente celebrava la gloria e la potenza militare di Roma. Per calmierare i prezzi delle merci di più largo consumo, nel 300 venne emanato l’editto che ne fissava i prezzi massimi esprimendoli in “denari”, anche se questa era ormai una moneta non più in circolazione. L’aureo tornò ad avere un peso di 1/60 di libbra. Si introdusse poi una moneta in argento, detta “argenteo”, con un peso pari a 1/96 di libbra. Oltre all’antoniniano, che aveva un peso di 3,90 g, fu introdotta anche una nuova moneta in bronzo, il “follis”, con un peso di circa 10 g. Quella di Costantino del 310, che si rifaceva al sistema bimetallico di Augusto, fu l’ultima riforma dell’impero romano. Come moneta d’oro venne introdotto il “solido”, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, mentre come moneta d’argento la “siliqua”, di 2,27 g. pari a 1/144 di libbra; con un valore doppio della “siliqua” fu introdotto il “miliarensis”, che quindi aveva lo stesso peso del “solido”. Per quanto riguarda le monete in bronzo, il “nummus centonionalis”, una moneta di 3 g equivalente ad 1/100 di “siliqua”, sostituì il  “follis”, ormai fortemente svalutato. Una correzione per le monete in rame del sistema introdotto da Costantino si ebbe nel 346 con gli imperatori Costanzo II e Costante (in oriente ed occidente), che sostituirono il “nummus”, praticamente dimezzato in valore (circa 1,35 g), con la “maiorina”. Il sistema monetario di Costantino durò fino alla fine dell’Impero Romano d’Occidente. Per quanto riguarda l’impero Romano d’Oriente, nel 498 d.C. si ebbe la riforma monetaria dell’imperatore Anastasio, basata su multipli del “nummus” per le monete in bronzo e del “solido” per le monete in oro. Dopo la fine dell’impero la zecca di Roma fu gestita dal Papato che proseguì la coniazione seguendo prima il sistema monetario bizantino ed in seguito quello carolingio, ovvero il sistema monetario istituito da Carlo Magno. Questo era basato sul monometallismo argenteo, data l’estrema rarità dell’oro, con un’unica unità monetaria, il “denaro”. Un “soldo”, invece, era un multiplo corrispondente a 12 denari e corrispondeva, perciò, ad 1/20 di “lira”. Dunque, solo il “denaro” era una vera e propria moneta coniata nell’impero, dato che “lira” e “soldo” erano solamente unità di conto nate dall’uso quotidiano e non imposte da leggi o decreti. L’attività di coniazione papale venne sospesa nel periodo tra il 984 ed il 1305, ovvero nel periodo in cui il papato venne sostituito nel governo della città dal Senato di Roma, che emise monete soltanto a partire dal 1143, basata sulla produzione del “denaro provisino” in argento. Le monete del Senato di Roma inizialmente riportarono iscrizioni quali “ROMA CAPUT MUNDI” o “S.P.Q.R.“, mentre in seguito compariranno anche i nomi dei Senatori, quali “Carlo I d’Angiò” o “Francesco Anguillara”. Le prime monete papali furono coniate dalla zecca di Avignone nel 1322 con il pontefice Giovanni XXII, ma fu nel 1431 che la zecca pontificia, inizialmente situata nel palazzo Sforza Cesarini e poi nel Banco di S.Spirito, tornò nuovamente alla gestione papale. La prima moneta che fu coniata fu il “ducato”, una moneta aurea di origine veneziana che circolava insieme al “fiorino”; nel 1588 furono sostituite dallo “scudo”, una moneta d’argento di origine francese che rimase la valuta del Papato fino all’anno 1866. Infatti nel 1835 Gregorio XVI riorganizzò il sistema monetario degli Stati pontifici stabilendo che l’unità fosse lo “scudo”, suddiviso in 100 “baiocchi”, ognuno di 5 “quattrini”. La moneta da uno “scudo” era d’argento, anche se furono coniate monete d’oro da 10 “scudi”, da 5, chiamate anche “gregorine”, e da 2½ “scudi”. Altre monete furono il “grosso” di 5 “baiocchi”, il “carlino” da 7½ “baiocchi”, il “giulio” (creato da papa Giulio II), chiamato anche “paolo”, entrambi da 10 “baiocchi”, i “papetti” da due “giuli”, il “testone” da 30 “baiocchi” e la “doppia” da 3 “scudi”. Attraverso altre numerose mutazioni monetarie si giunse così fino al 1866 quando papa Pio IX adottò la “lira pontificia” suddivisa in centesimi per farla corrispondere al nuovo sistema monetario italiano ed ai parametri dell’Unione Monetaria Latina. Con la Rivoluzione Francese, infatti, un vero terremoto aveva investito le monete europee per l’imposizione del sistema metrico decimale ritenuto più razionale. Nel Piemonte sabaudo, prima della Rivoluzione, esisteva già la “lira” suddivisa però nel sistema duodecimale, ma con Napoleone la “lira” venne equiparata al “franco francese” definita in 4,5 g d’argento fino e suddivisa in 100 parti o “centesimi”. Il nuovo sistema monetario dal Piemonte passò al Regno d’Italia con Legge 788 del 24 Agosto 1862: da allora la “lira” ha accompagnato la vita di molte generazioni di italiani, fino al più recente cambiamento dell’euro avvenuto nel 2002.

aes signatum
Aes Signatum
didracma
Didracma
quadrigato
Quadrigato
vittoriato
Vittoriato
denario
Denario
sesterzio
Sesterzio
antoniniano
Antoniniano
aureo
Aureo
asse di augusto
Asse (Augusto)
binione
Binione
follis
Follis
solido
Solido
siliqua
Siliqua
miliarensis
Miliarensis
maiorina
Maiorina
denario di carlo magno
Denaro (Carlo Magno)
denario provisino
Denaro Provisino
ducato del senato di roma
Ducato (Senato di Roma)
fiorino
Fiorino
scudo
Scudo
baiocco
Baiocco
grosso
Grosso
carlino
Carlino
giulio
Giulio
paolo
Paolo
lira pontificia
Lira Pontificia
lira
Lira