Anna Magnani

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Anna Magnani, o “Nannarella” come era chiamata affettuosamente a Roma, fu l’attrice simbolo del dopoguerra e del cinema neorealista italiano, nonché l’immagine della donna popolare romana. Anna, figlia di ragazza madre, Marina Magnani, crebbe con la nonna materna perché dopo la sua nascita (7 marzo 1908) e lo svezzamento, sua madre si trasferì ad Alessandria d’Egitto per sposare un ricco austriaco. Da qui nacque la leggenda secondo la quale Anna fosse egiziana: all’inizio lei stessa ci giocò, ma poi con il tempo sentì la necessità di rivendicare le proprie origini, “Sono romana, di Porta Pia“, disse caparbiamente. Per scoprire le sue origini, da ragazza fece ricerche sull’identità del padre, ma quando scoprì che era calabrese e che di cognome faceva Del Duce, si fermò immediatamente: “Mica volevo passa’ pe’ la figlia del Duce!”, dirà in seguito con la sua solita grande ironia. Da bambina Anna imparò a suonare il pianoforte e per questo si iscrisse al Conservatorio dell’Accademia di Santa Cecilia, ma con il tempo scoprì che non erano i solfeggi la sua grande passione, bensì la recitazione e perciò, una mattina del 1927, si recò davanti alla porta della scuola Eleonora Duse (che nel 1935 venne rinominata Accademia Nazionale d’Arte Drammatica) diretta da Silvio D’Amico. L’attore Paolo Stoppa, rammentando quel giorno, disse: «Al portone di quella chiesa sconsacrata, diventata un teatrino per l’accademia, si presentò una con le gambe storte, magra, e fa: “Mi dica un po’ lei, è qui che si impara a recità?“». Fin da subito tutti le dissero che era molto brava ed al saggio del secondo anno, dove recitò una commedia di Verga, venne notata da Dario Niccodemi, autore di drammi popolari di grande successo, che le propose di entrare nella sua compagnia Vergara-Cimara. Anna accettò, anche se sapeva che avrebbe dovuto lasciare la scuola, la città e soprattutto la nonna, per piccole parti, in giro per l’Italia, senza gloria e con tante umiliazioni. Il giorno della partenza fu proprio la nonna ad accompagnarla al treno e così raccontò Anna Magnani: “Mi accompagnò fino al treno, dal finestrino guardavo il suo viso piccolo, i suoi capelli raccolti sotto al cappellino così belli ed in quel momento capii che non l’avrei più rivista. Mia nonna morì sei mesi dopo. E da quel momento ebbi il coraggio di ribellarmi, di far uscire da me stessa ciò che era rimasto sempre nascosto, di gridare quando ne avevo il bisogno e di tacere quando ne avevo voglia. Sì, quel giorno era nata la Magnani“. Dopo un inizio caratterizzato da ruoli secondari, venne fuori il talento ed il carattere irriverente e deciso e così il suo nome nelle locandine apparve sempre più evidente.

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Anna Magnani

Nel frattempo in Italia il cinema iniziava a spopolare, portando via il pubblico al teatro; nacque così un genere tutto italiano, l’avanspettacolo, una rivista in 50 minuti che andava in scena nei teatri-cinema prima della proiezione del film. Anna sentì il bisogno di affrontare quel tipo di pubblico, sboccato, volubile, una vera fossa dei leoni per un attore e ancora di più per un’attrice. Per l’avanspettacolo passarono tutti i più grandi comici ed Anna Magnani decise di andarci nel 1934 con i fratelli De Rege, antesignani della comicità demenziale del “Vieni avanti cretino”, non come soubrette (ruolo che aveva sempre rifiutato), ma come attrice comica e cantante: fu proprio su questi palcoscenici che nacque “Nannarella”. Nel frattempo si avvicinò anche al mondo del cinema, partecipando con piccole particine ad alcuni film. La prima parte importante la ottenne nel 1934 con “La cieca di Sorrento” di Nunzio Malasomma, film nel quale rivestiva il ruolo di una donna perduta ma generosa. Seguirono altri film sempre con ruoli di caratterista, dove aveva la possibilità di divertirsi ed esprimersi ma che la lasciarono sempre un po’ ai margini, tranne che in “Tempo massimo”, film d’esordio di Mario Mattoli, con Vittorio De Sica, dove la Magnani faceva la servetta mitomane che credeva di essere amata dal suo padrone. La vita sentimentale di Anna fu sempre burrascosa, sin dal suo primo grande amore, il regista Goffredo Alessandrini, che sposò il 3 ottobre 1935, ma anche i successivi rapporti con Massimo Serato prima, dal quale nel 1942 ebbe un figlio, Luca, e con Roberto Rossellini poi, non furono molto diversi: la possessività e la gelosia di Anna, spesso a ragion veduta, incrinavano i rapporti. La vita lavorativa di Anna invece iniziò a cambiare quando gli avvenimenti della guerra diedero spazio a film più maturi e popolari, nei quali l’attrice riusciva a d esprimere tutta la sua energia e la sua veracità. Fu Vittorio De Sica ad offrirle per la prima volta nel 1941 la possibilità di rappresentare un personaggio non secondario, quello di Loretta Prima, artista di varietà, nel film “Teresa Venerdì”. Un vero ruolo da protagonista Anna Magnani lo ottenne nel 1943 in “Campo de’ Fiori” di Mario Bonnard, dove recitò al fianco del grande Aldo Fabrizi, il quale interpretava il ruolo di un pescivendolo romano, semplice e genuino, che aveva un chiosco a Campo de’ Fiori, mentre la Magnani faceva la fruttivendola dal carattere buono e verace, della quale il pescivendolo si innamora. In questa periodo avvenne anche l’incontro con Totò, con il quale diede vita ad uno dei più grandi sodalizi del teatro italiano. I due avevano molte cose in comune, come il fatto di non aver mai conosciuto il proprio padre e di aver avuto un’infanzia difficile: entrambi quindi erano animati da un forte desiderio di riscatto. A metter insieme queste due grandi maschere popolari fu Michele Galdieri, che dopo la dura liberazione di Roma dal ’40 al ’44 propose al pubblico 4 riviste: “Quando meno te l’aspetti”, “Volumineide”, “Che ti sei messo in testa?” e “Con un palmo di naso”. Anna Magnani riuscì sempre a stare al passo del genio di Totò con ruoli memorabili come quello della fioraia del Pincio. Con l’occupazione tedesca, Roma venne messa in ginocchio, in città mancavano i beni di prima necessità, dall’acqua al pane e solo per chi se lo poteva permettere c’era la “borsa nera”. In questo clima un regista, Roberto Rossellini, ed uno scrittore di cinema, Sergio Amidei, sentirono il bisogno di documentare in un film ciò che succedeva in quei mesi di occupazione nazista. Le difficoltà che dovevano affrontare erano enormi: ci voleva denaro, uomini e mezzi in una Roma che aveva ben altro a cui pensare. Nacque così “Roma Città Aperta“, film manifesto del neorealismo italiano.

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Anna Magnani

Narra la storia della popolazione romana sotto il giogo dell’occupazione e si ispira in particolare alla storia vera di don Luigi Morosini (interpretato da Aldo Fabrizi), torturato e ucciso dai nazisti perché colluso con la Resistenza. Nel film si intrecciano le vicende di tre diversi personaggi: don Pietro, che protegge i partigiani offrendo asilo anche ad un ingegnere comunista, Manfredi (Marcello Pagliero); i bambini, che a modo loro aiutano gli adulti nella Resistenza, ed infine la popolana Pina (Anna Magnani), fidanzata con un tipografo, anche lui impegnato nella Resistenza, che viene uccisa a colpi di mitra sotto gli occhi del figlio mentre tenta d’impedire il rastrellamento di suo marito portato via da un camion. Questa è una delle scene più famose del cinema italiano e che portò la Magnani nell’Olimpo delle star facendole vincere il Nastro d’argento nel 1945. Il merito fu anche dello stesso Rossellini che seppe tirar fuori il meglio di lei: “Sono un cavallo al quale non vanno messe briglie, ma lasciare che venga fuori quello che sento”, dirà la Magnani in seguito. Il film, seppur accolto (almeno inizialmente) in modo tiepido in Italia, commosse tutto il mondo e trionfò al festival di Cannes nel 1946, vincendo la Palma d’Oro. Anna lo considerò il suo film più sofferto, partorito con dolore, con le sue stesse viscere: “Non posso più vederlo – dirà in seguito – non piango, ma quando torno a casa sto male”. Dopo “Roma Città Aperta” la Magnani in un anno girò ben 5 film, tutti nei panni della donna del dopoguerra che aveva a che fare con borsari neri, difficoltà, speranze e sogni infranti. Con “L’onorevole Angelina” diretto da Luigi Zampa nel 1947, che le fece vincere la Coppa Volpi a Venezia, finalmente ritornò a rivestire i panni di un personaggio ricco di umanità popolaresca: interpretava una borgatara romana moglie di un vicebrigadiere e paladina della gente povera, che si batteva contro gli speculatori della borsa nera, ma poi, quando tentò di buttarsi in politica, ingannata e manipolata dai potenti, tornò a fare la donna di casa. Nel frattempo girò un nuovo film con Rossellini, “L’amore”, diviso in due episodi: nel primo la Magnani dava prova di sé in una scena dove una donna piena di disperazione dava l’addio al suo amato che la tradiva, mentre nel secondo (scritto da Federico Fellini) interpretava una pazza che si faceva mettere incinta da un barbone biondo e barbuto (Fellini) che lei scambia per S.Giuseppe. Dopo Rossellini un altro grande regista entrò nella sua vita, ma solo dal punto di vista lavorativo: nel 1951 interpretò la protagonista del capolavoro di Luchino Visconti (sceneggiato da Cesare Zavattini), “Bellissima”, al fianco dell’irriverente Walter Chiari. Il film che le fece vincere il suo secondo Nastro d’Argento segnerà gli anni ’50. È la storia di una donna romana di borgata, Maddalena, che riversa tutte le sue ambizioni sulla figlia, “la più bella e brava”, non volendosi rendere conto che in realtà è una bambina normale. Cade quindi nel tranello di Alberto Annovazzi (Walter Chiari) che a Cinecittà le fa credere di essere l’aiutante del regista e quindi di poterla aiutare a far passare la bimba al concorso, naturalmente dietro compenso. Ma quando Maddalena vede l’immagine della piccola Maria impacciata e piangente tra le risate del regista e degli aiutanti, indignata e avvilita si rende conto dei suoi errori e rinuncia al fruttuoso contratto che le viene effettivamente proposto dal regista, che aveva visto in quella bimba qualità espressive non comuni. Celebre è la scena in cui lungo il fiume Walter Chiari cerca di “rimorchiare” la Magnani: «La scena del fiume tra lei e Walter – racconterà Luchino Visconti – è quasi tutta improvvisata, inventata al momento. La freschezza della scena viene proprio dal meraviglioso talento che aveva Anna». Nel 1954 arrivò la chiamata da Hollywood per un film che Tennessee Williams scrisse appositamente per lei, “La rosa tatuata”, nel ruolo di Serafina Delle Rose al fianco di Burt Lancaster. La partenza per l’America fu dolorosa: era la prima volta che si allontanava per così tanto tempo. Lasciare il figlio e le sue cose per lei, tipica romana abitudinaria legata ai suoi oggetti, ai suoi orari ed ai suoi cari, fu molto difficile, ma il film si rivelò un successo. Alla notte degli Oscar il 21 marzo 1956 fu la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il famigerato Premio come migliore attrice protagonista, conferitole proprio per l’interpretazione di Serafina Delle Rose. Per lo stesso ruolo vincerà anche un Bafta come attrice internazionale dell’anno ed il Golden Globe come migliore attrice in un film drammatico. Quando le comunicarono la sua nomination al telefono pensò si trattasse di uno scherzo, comunque non andò a Los Angeles, forse perché non credette di poter vincere. Ma alle 5 e mezza del mattino ricevette la grande notizia. Dopo il grande successo girò ancora due film in America sempre con ruoli tragici: “Selvaggio è il vento” con cui vinse come migliore attrice il David di Donatello e l’Orso d’argento a Berlino, e “Pelle di serpente” dove recitò con il bellissimo Marlon Brando. Anna ormai era diventata un’attrice troppo grande e scomoda per il cinema italiano, che invece stava diventando sempre più provinciale. I registi si sentivano in soggezione dinanzi al suo talento, al suo carattere travolgente. Perfino Pier Paolo Pasolini che la chiamò per “Mamma Roma” ebbe delle difficoltà, per questo i due non andarono d’accordo durante le riprese. La storia della prostituta che si redime per il figlio appena in tempo per resistere alla sua perdizione sembrò proprio essere scritta per lei, ma il film la deluse e le lasciò l’amaro in bocca: la collaborazione piena e totale che aveva pregustato non c’era stata, proprio perché Pasolini temeva di essere condizionato dalla sua personalità dirompente. L’umore della Magnani iniziò ad essere sempre più instabile, passando da momenti di depressa malinconia a momenti in cui tirava fuori tutta la sua allegria e la sua gioia di essere. Quando accadeva ciò, che lei chiamava la “ruzza”, organizzava feste ed uscite tra amici, mentre nei momenti di malinconia si rintanava nella sua villa al Circeo fatta costruire nel 1950, un luogo che amava e che considerava un piacere da condividere solo con gli amici più cari. Intanto ormai lavorava sempre meno ed alla domanda “Perché fa così pochi film in Italia?” rispose: “Perché quelli che mi offrono non mi piacciono per niente e siccome ne ho già fatti troppi di brutti film negli ultimi anni non ne voglio fare più”. Non le rimase quindi che tornare al suo primo amore, il teatro. L’occasione gliela offre Franco Zeffirelli con “La lupa” di Giovanni Verga, e poi Giancarlo Menotti con “Medea” di Jean Anouilh. I due spettacoli riscossero un successo enorme in tutta Europa. “Sapere che venti milioni di persone nello stesso momento ti stanno guardando, giudicando, è un po’ traumatizzante, certo dopo, visti i risultati, la sensazione è molto bella”. L’ultima occasione alla Magnani le arrivò dalla Tv: nel 1970 il regista Alfredo Giannetti le offrì una parte in un mini-film “…Correva l’anno di grazia 1870” accanto a Marcello Mastroianni, destinato alla Tv dopo essere passato nelle sale cinematografiche. L’anno seguente sempre Giannetti la volle come protagonista per un ciclo chiamato “Tre donne”, costituito da tre mini-film, “La Sciantosa”, “1933: un incontro” e “L’automobile”. Nel 1972 fece la sua ultima apparizione cinematografica: in una calda notte, una dolente Anna Magnani, attraversa i vicoli di Roma e risponde al regista con una risata mentre chiude il portone davanti alla macchina da presa: è il suo celebre cameo in “Roma” di Federico Fellini. In una calda giornata del 1973 Anna uscì dalla sua bella casa di palazzo Altieri per non farvi più ritorno: dopo un’agonia durata venti giorni, morì nella clinica “Mater Dei” ai Parioli il 26 settembre 1973, all’età di 65 anni, stroncata da un tumore al pancreas. Per chi vuole renderle omaggio, oggi, il suo corpo è sepolto nel piccolo cimitero del Circeo, vicino a quella sua villa che tanto amava e che le dava pace.

CIAO ANNA!