Bresciani Borsa Antonio

bresciani borsa antonio

Antonio Bresciani Borsa nacque ad Ala (Trento) il 24 luglio 1798 da nobile famiglia, figlio di Leonardo, discendente dei Bresciani di Verona e dei Borsa conti palatini allora presenti nel Tirolo, e da Vittoria dei nobili Alberti di Verona. Fu ordinato sacerdote a Bressanone nel 1821 e nel 1828 entrò nella Compagnia di Gesù. Dopo una breve esperienza nel convitto del Carmine di Torino e poi nel convitto di S.Girolamo a Genova, fu rettore di collegi della Compagnia in diverse città italiane: Genova, Torino, Modena e Roma presso il Collegio di Propaganda Fide. Dal 1844 al 1846 fu provinciale della Compagnia per il Regno di Sardegna. Fra il 1846 e il 1849, scacciati i gesuiti da molti stati italiani, rimase nascosto a Roma. Nel 1850 Antonio Bresciani Borsa venne chiamato a Napoli come redattore nella prima comunità degli scrittori de “La Civiltà Cattolica”, la rivista fondata da padre Carlo Maria Curci, e fu incaricato di scrivere i Racconti, con i quali intrattenne i lettori fino alla morte. Morì a Roma il 14 marzo 1862 e le sue spoglie riposano nella Chiesa del Gesù, accanto alle spoglie di padre Ignazio. La sua prosa è considerata un tipico esempio di retorica ottocentesca, pro-chiesa, anti-patriottica e di manifesto spirito reazionario. Tra i suoi numerosi scritti possiamo ricordare gli Ammonimenti di Tionide al giovine conte Leone (1838), gli Avvisi a chi vuol pigliar moglie (1839), seguito del precedente, i discorsi Del romanticismo italiano (1839), l’opera Dei costumi dell’isola di Sardegna comparati cogli antichi popoli orientali (1850), forse il suo scritto più importante; inoltre numerosi romanzi, pubblicati ne “La Civiltà Cattolica” dal 1850 in poi. Tra questi, il primo e più famoso è l’Ebreo di Verona, al quale fanno seguito La repubblica romana e il Lionello, in riferimento al periodo dei moti patriottici del 1846-49; seguirono Ubaldo ed IreneLorenzoDon GiovanniMatilde di CanossaCasa di ghiaccioOlderico o lo zuavo pontificio e Edmondo o dei costumi del popolo romano (1860), un vivace quadro, ancor oggi valido, degli usi e della vita della Roma ottocentesca, dove si compiace della fede popolare dei Romani che li rende fedeli alla Chiesa, difendendo in tal modo la Roma papale.